Beneventano, trent'anni di un martire di camorra 

di ISAIA SALES

Il 7 novembre di 30 anni fa, mentre usciva di casa per recarsi al lavoro, veniva assassinato a Ottaviano Mimmo Beneventano, medico e consigliere comunale del Pci. Aveva 32 anni. Fu il primo delitto di camorra nei confronti di un esponente politico comunista. Due anni prima, sempre ad Ottaviano, era stato ammazzato l’avvocato Pasquale Cappuccio del Psi, che assieme a Mimmo svolgeva una dura opposizione in consiglio comunale contro le malefatte dell’esponente politico più rappresentativo del paese, Salvatore La Marca, e dei suoi amici camorristi. Imprenditore nel settore dei rifiuti, già proprietario di alcune discariche ( compresa - in società con altri - cava Sari di Terzigno), in affari con il fratello di Cutolo,l'esponente del Psdi era stato accusato nel passato di essere un appartenente alla banda La Marca, era finito in carcere per alcuni anni e poi assolto; da sindaco (con i voti della DC) e da assessore alla Provincia si era fatto strenuo sostenitore di un campo da golf, della edificazione di numerose villette e di una "tangenziale" sul Vesuvio. Chiunque si opponeva a quella follia era oggetto di pressioni, avvertimenti e poi di rappresaglie. Il duo Cutolo-La Marca dominava il paese, controllava la vita politica ed eliminava gli oppositori: una dittatura politico-criminale che aveva avuto un precedente a Corleone in Sicilia e avrà un seguito a Casal di Principe. E Mimmo, come Peppino Impastato a Cinisi, non aveva accettato che a Ottaviano fosse negato il diritto elementare alla parola e al dissenso. Era un leader intransigente, faceva sentire alta e forte la sua voce. Insieme a Pasquale Cappuccio rappresentava quella borghesia delle professioni che non poteva sopportare che a comandare in un paese come Ottaviano ci fossero un camorrista e un politico sospettato di essere un ex bandito.

Gli assassini di Beneventano e di Cappuccio non hanno ancora pagato per i loro crimini, e su quelle storie di "resistenza civile" che ci furono a Ottaviano da parte di una generazione di sinistra è calato il silenzio, interrotto dal bellissimo libro di Bruno Arpaia "Il passato davanti a noi", dal libro di Raffaele Sardo sulle vittime innocenti della criminalità, e dalle attività della fondazione che porta il nome di Mimmo Beneventano. Quest'anno è stato ristampato il suo libro di poesie "Rabbia e destino", che lo avvicina per tanti aspetti a Rocco Scotellaro, il sindaco-poeta di Tricarico in Basilicata. Mimmo veniva dalla Lucania, ed era arrivato ad Ottaviano a 16 anni, dopo vari passaggi in provincia di Salerno. Si era iscritto a medicina all'Università di Napoli e poi aveva seguito la sua passione politica diventando, da cattolico, comunista. Era stato eletto in consiglio comunale nel ’75 e riconfermato nell’80. Se eri contro le ingiustizie e ti indignavi per come venivano ridotti i nostri paesi, come facevi a non essere comunista? Mimmo Beneventano seguiva la strada della generazione post-sessantottina, attratta dalla politica per portarvi quel bisogno di liberazione che aveva attraversato la vita di ognuno di noi. Eravamo pienamente consapevoli della situazione? Che cioè di fronte a noi non avevamo semplicemente uomini politici con idee diverse dalle nostre, ma anche il primo cementarsi di interessi malavitosi attorno alla politica e alle sue decisioni? Non del tutto, e non tutti allo stesso modo. Pensavamo di cambiare il mondo, di arrestare la cattiva politica che ci faceva vivere in paesoni privi di qualsiasi impronta civile, non pensavamo di dover combattere quasi da soli contro un nemico che usava le armi al posto delle parole. Mimmo aveva parlato nel suo ultimo comizio di queste cose, aveva usato parole dure, li aveva chiamati "mafiosi" ma nessuno pensava che si potesse morire per un comizio. Andammo al fronte armati solo delle nostre denunce e dei nostri ideali. La generazione politica che ci aveva preceduto non aveva avuto la camorra tra i propri nemici, e non ci ammaestrarono sui rischi che correvamo. E non ci aveva messo sull'avviso la magistratura, che all'epoca era fatta di difensori ottusi dei vecchi equilibri di classe, né i marescialli dei carabinieri che ci trattavano da pericolosi sovversivi, andavano al bar al braccetto degli amministratori e si facevano vedere in compagnia di coloro che diventeranno poi i capi-camorra. Eravamo noi a rompere le scatole, non i camorristi. Come si faceva dire no a Cutolo, quando gli appalti comunali se li spartivano quelli che amministravano insieme ai loro accoliti e ai loro parenti? Il sistema politico locale si trovò sprovvisto di qualsiasi linea di resistenza morale, civile, all'arrivo in massa sui comuni dei camorristi e dei loro amici. E tutto avvenne in pochissimi anni, tra l'inizio dei ’70 Settanta e gli ’80. Il terremoto del 1980 diede una spinta formidabile a questa connessione politicocriminale, e rappresentò uno spartiacque tra un prima e un dopo. Chi resistette in quegli anni? Forse solo quella generazione arrivata alla politica dal '68, appassionata, tenace,ingenua e senza strumenti adeguati per capire quello che stava succedendo. Mimmo Beneventano era uno di quei "resistenti".

Che cosa abbiamo in mano per dire con certezza che quello che avvenne in quegli anni è alle nostre spalle, e che la morte di Mimmo Beneventano e di tanti altri sia servita almeno ad arrestare l'orda criminale? Certo ad Ottaviano il castello mediceo è stato tolto a Cutolo e riassegnato alla comunità, c'è un'azione più risoluta di magistratura e forze dell'ordine. Ma ancora oggi la barriera morale che la politica frappone è troppo bassa e fragile. Ancora oggi segretario regionale del principale partito di governo è un uomo accusato di rapporti organici con i Casalesi. Mimmo Beneventano ha fatto onore agli ideali di una generazione. Niente di più inconciliabile con Raffaele Cutolo, con Salvatore La Marca e con gli altri che ne hanno preso il posto.

Corriere del Mezzogiorno Napoli 7 novembre  2010

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