Ripartire dagli «scarti»  Raccogliere  e onorare  i rifiuti

di Alex Langer

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Caro e venerato Abbè Pierre, cari amici di Emmaus,

da quando la grave crisi ambientale e la progressiva perdita di integrità della biosfera sono all'attenzione di tutti, nuovi luoghi comuni sono entrati nel nostro pensiero e nel nostro linguaggio. Spesso - secondo lo spirito del tempo - si tratta di luoghi comuni che contengono una forte dose di fiducia tecnocratica, anche quando affrontano drammatiche emergenze sociali o ecologiche. Così si parla, per esempio, della necessità di "regolare e contenere i flussi migratori", di "ridurre l'impatto ambientale", di "ottimizzare il rapporto tra input e output nell'uso delle materie prime", di rispettare la "capacità di carico del territorio", e così via sentenziando.

In una sospetta mescolanza di termini e di obiettivi - alcuni dei quali più giusti, altri assai meno - questi luoghi comuni generano comunque l'idea che ormai sia questione di tecnologie e metodologie più adeguate per dominare la crisi dell'ambiente e ripararne i guasti. Anche il problema dei rifiuti, crescente ed ancor troppo poco avvertito incubo del nostro tempo, viene facilmente categorizzato così, e spesso con la migliore delle intenzioni: "evitare, minimizzare, selezionare, recuperare, riciclare i rifiuti" è diventata la sintesi largamente usata ed accettata di una rilevante branca delle politiche ambientali.

Ecco che si parla - meritoriamente, s'intende - di risorsa rifiuti, di borsa rifiuti, di gestione rifiuti, di smaltimento rifiuti... ed ecco che compaiono nuove amministrazioni, imprese, industrie, saperi, tecniche, pubblicità, nuovi esperti, nuove riviste specializzate, nuovi convegni, nuove cattedre universitarie, nuovi mercati e nuove leggi.

Si fa strada la consapevolezza che i nostri rifiuti potrebbero poco a poco sommergerci, con ritmo sempre più incalzante, e che in essi potrebbe stare il boomerang più pericoloso della nostra civiltà, rappresentato bene dalla terribile quintessenza dei rifiuti nucleari e delle scorie di plutonio, problema sinora fondamentalmente insolubile.

Nuovi allarmi scattano, nuove spinte all'ambientalismo si consolidano.
Ma vi sono dimensioni più profonde. Chi osserva i rifiuti nelle nostre città, o ai margini delle nostre autostrade, o nei mezzi di trasporto appena abbandonati dai passeggeri, o all'uscita delle cosiddette grandi convivenze (prigioni, uffici, ospedali, fabbriche, ristoranti, parchi divertimento...), non può inorridire. Non solo e non tanto per l'immagine di disordine e di bruttura che vi emana. Sono rifiuti che mandano un doppio crudele messaggio: ci dicono che le cose vengono usate con economica brutalità, senza comprensione e sintonia, e che tutto ciò che non conserva l'abbagliante luccichìo del "nuovo di zecca" è semplicemente da buttare. Che terribile oracolo: l'"usa e getta" come canone fondamentale della nostra società! Una legge, forse non meno impietosa di quella spartana che imponeva di gettare i bambini ritenuti troppo deboli, e che viene applicata non solo alle cose, bensì anche agli uomini (ed ancor più alle donne). Una legge che impedisce di conoscere a fondo, di amare, di scoprire, di possedere davvero, di inventare, di creare - una legge che trasforma ogni cosa dopo breve o brevissima vita in rifiuto e che fa concentrare, rimuovere e possibilmente annientare i rifiuti, magari persino catapultandoli nello spazio, quando definitivamente non sapremo più come difendercene.

Rimuovere quello che abbiamo ed usiamo per fare spazio a nuovi consumi, nuovi bisogni, nuovi sprechi, nuova competizione, nuovo luccichìo e nuovo abbaglio. Cancellare le nostre tracce (peraltro sempre meno nostre), sfigurare e respingere da noi ciò che abbiamo usato o mangiato fino a poco prima, pretendere nuovi involucri sigillati e sterili, nuove vergini artificiali da violare distrattamente e poi buttare.

Diversa è stata l'esperienza e la lezione di Emmaus e dell'Abbè Pierre.
"Raccogliere ed onorare i rifiuti", si potrebbe chiamarla: persone rifiutate raccolgono cose rifiutate, rifiuti generano accettazione e solidarietà. Ciò che potrebbe essere visto come un - pur rilevante e magari geniale - espediente economico, che del resto da sempre viene praticato nelle società più semplici e conviviali, contiene una profonda filosofia di vita, indica una vera e propria svolta di civiltà. Gli scarti diventano sorgenti di vita, non solo economica o sociale, e intorno a ciò che una società di superficie rimuove con gesto fastidioso e insofferente, si aggrega un'altra società, più comunitaria, più attenta obbligata ad andare più in profondità, caratterizzata non da ciò che può spendere e sprecare, ma da quanto sa fare e quanto sa aiutarsi e farsi aiutare. Forse a molti farebbe bene l'esperienza di vivere almeno un giorno al mese assolutamente senza denaro, imparando a dipendere non dall'ubiqua carta di credito che dà il diritto di pretendere senza chiedere e di ricevere pagando, bensì dal credito che deriva dalla propria capacità di farsi amici, di domandare nel modo giusto, di saper sviluppare ed offrire proprie risorse non precostituite dal denaro, e dall'abilità di riutilizzare o ricreare o raccogliere e valorizzare ciò che altri buttano via.

Raccogliere ed onorare i rifiuti è una rivoluzione: li trasforma in non-rifiuti, cioè "bene-accetti", da ciò che non ha valore in qualcosa di prezioso, rende ricercato ed apprezzato ciò che per definizione sarebbe da buttare. Non sarà così eroico come "deporre i potenti dai troni, ma c'era molto con l'"innalzare gli umili". Chi lo fa, contribuisce - oltretutto - molto di più alla salute del nostro povero pianeta e dei viventi che lo popolano, di quanto non capiti a molto dottori della legge ambientalista.

Dobbiamo essere grati all'Abbè Pierre, che ha dato un'anima ad un'attività ritenuta marginale e disprezzata, e che ci ricorda che da ciò che i presunti normali scartano, può ripartire una risurrezione sociale, comunitaria, economica, morale e di inventiva pratica. E che ha saputo non solo pensare o proporre tutto questo, ma si è messo insieme a coloro che lo fanno ed a loro modo così curano se stessi, tutti noi e - non poco - la natura che "ci sustenta ed guberna", come direbbe Francesco d'Assisi.

Lode sia dunque all'Abbè Pierre, per aver saputo far diventare molto persone "amici degli scarti": ne abbiamo tanto bisogno. Ed avremo meno "scarti".

* intervento di Langer a "La terre aux humains", Lyon, 27.11.1992