Lo sviluppo in Puglia frenato dal crimine: perso il 15% del Pil

di Vincenzo Damiani

L’effetto-malavita nell’arco di 35 anni. Dati allarmanti di Antimafia e Bankitalia

Una crescita frenata dalla criminalità organizzata. In circa 35 anni, infatti, la mafia pugliese avrebbe provocato la perdita di prodotto interno lordo (Pil) pro capite pari al 15 per cento. E’ questo l’impatto sulla ricchezza economica che ha avuto la nascita - e il successivo radicamento e penetrazione nel tessuto sociale - della cosiddetta macro criminalità. Estorsioni, usura, corruzione, infiltrazione negli apparati burocratici: sono i grandi affari della malavita organizzata che hanno tolto soldi dai portafogli dei pugliesi, danneggiando l’intera economia regionale. A rivelarlo è uno studio commissionato dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia a Banca d’Italia. Lo scorso novembre, nel corso di un’audizione a porte chiuse, la relazione finale è stata depositata e resa nota ai componenti della commissione parlamentare.

Si tratta di uno studio - «I costi economici della criminalità organizzata», è il titolo - predisposto con l’ausilio del Servizio studi di struttura economica della Banca d'Italia, sulle diseconomie provocate dalla malavita. La ricerca si è concentrata su due regioni, la Puglia e la Basilicata, perché sono le due aree che, a differenza di Sicilia, Calabria o Campania, hanno conosciuto più tardi il fenomeno mafioso. Secondo i tecnici di Bankitalia, fino al 1975 il Pil pro capite pugliese aveva conosciuto una crescita pari a quello di altre quattro regioni con bassa presenza mafiosa, ovvero Veneto, Umbria, Abruzzo e Molise. Da metà degli anni Settanta in poi - guarda caso nel momento in cui in Puglia nascono, con la «benedizione» della Ndrangheta e della Camorra, le prime organizzazioni criminali, vedi la Sacra Corona Unita - lo sviluppo economico ha conosciuto una frenata sospetta. Mentre nel 1975 si registravano 10 crimini ogni 100mila abitanti (i reati presi in considerazione sono estorsioni, usura, rapine e rapimenti), nel 2010 sono diventati 70; di pari passo, all’aumento dei crimini è corrisposta una riduzione drastica della ricchezza prodotta che ha portato, nel 2010, ad una perdita del 15 per cento del Pil rispetto allo sviluppo economico ipotetico che avrebbe potuto conoscere la Puglia. Ecco un passaggio della relazione: «Il radicamento della criminalità in Puglia coincide successivamente con il passaggio della regione da un sentiero di crescita elevata ad uno inferiore». A pagare dazio sono state soprattutto le imprese, spesso tenute sotto schiaffo dalla criminalità. «Un’impresa - scrivono i tecnici della Banca d’Italia - che non è libera di decidere come destinare le proprie risorse economiche, perché ricattata da un estorsore o da un usuraio, e quindi di gestire la propria attività in autonomia, si "ammala," e rende il mercato malato, falsato. Il passaggio dall'imposizione del pizzo al ricorso all'usura e dall'usura all'acquisizione dell'azienda da parte della criminalità è un fenomeno sempre più diffuso, che si accompagna all'accaparramento di aziende come investimento per il riciclaggio di denaro».

Corriere del Mezzogiorno 06 febbraio 2011