Giovani del Sud senza futuro

di Antonella Sferrazza  

Tra clientelismo, malapolitica e istituzioni latitanti, i ragazzi meridionali non trovano la propria identità. E, soprattutto, non sanno se un giorno riusciranno a lavorare.

Senza possibilità di crescere. Senza lavoro. Senza soldi. Senza prospettive. Insomma, senza futuro.Questo, in estrema sintesi, lo stato di milioni di giovani che vivono nel Sud.

Nemmeno l’università – per chi può frequentarla e completare gli studi – riesce ad infondere un po’ di ottimismo. A parte quelli che decidono di scappare via. E sono tanti. Per gli altri, se va bene, c’è il precariato e la speranza di una vincita al superenalotto. C’ è molto scoramento, oggi, tra i giovani meridionali. Del resto, lo scenario in cui vivono è deprimente. Né sembra avere inse-gnato qualcosa ciò che sta accadendo nel vicino Nord Africa, dove l’esasperazione dei giovani ha acceso la miccia delle proteste.

La politica, insomma, è quella che è, a Roma come in quasi tutte le città del Mezzogiorno.Lo Stato praticamente se ne frega.
A parte le sagge parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che va ripetendo che un Paese che non investe sui giovani, non ha futuro, da tutte le altre istituzioni politiche arrivano soltanto demagogia, populismo e clientelismo di tutti i generi e di tutte le specie.

E non parliamo di quello che succede nei call center dove ormai, il numero di giovani laureati, che vi presta servizio è impressionante.
Anche in questo caso i numeri son lì, nudi e crudi: il 70% degli addetti ai call center è concentrato nelle regioni meridionali; la maggior parte, ha un’età inferiore ai 40 anni e un tasso di scolarizzazione superiore alla media.

Gli stipendi, quando va bene, raggiungono i 700 euro al mese. E dire che per incrementare la presenza di imprese private nel Sud, dagli anni della Agensud fino ai nostri giorni, di risorse ne sono state impiegate tante.

Che dire per esempio della mitica legge 488? Un provvedimento che ha scaricato nelle tasche di imprenditori montagne di risorse che sarebbero dovute servire a creare sviluppo e occupazione. Una volta incassato il ‘bottino’ però, molte di queste imprese hanno chiuso i battenti, con buona pace dei disoccupati, laureati e non. E quando qualche imprenditore serio prova a fare qualcosa di concreto viene stoppato da una burocrazia kafkiana e spesso truffaldina.

Insomma, inutile girarci attorno. Nel Mezzogiorno, a parte qualche eccezione, a fare le carriere più remunerative sono i raccomandati: amici di politici e di mafiosi, figli di professionisti che fanno le campagne elettorali ai potenti di turno e via dicendo.

La truffa ai danni dei giovani del Sud passa anche da una gestione dissennata delle risorse pubbliche destinate alle università. Un esempio ci arriva dalla ripartizione degli incentivi per la ricerca (tra l’altro, non si tratta di risorse aggiuntive ma di somme detratte al fondo unico per le università): sono stati ripartiti in base a criteri falso meritocratici.

Esempio: si è tenuto conto dei giovani che hanno trovato occupazione dopo la laurea? Cosa normale questa a Milano e dintorni. A queste università sono stati elargiti i premi più succosi. E siccome chi si è laureato al Sud, come abbiamo già detto, resta a abocca asciutta, alle università meridionali sono arrivati pochi spiccioli.

Ma il sistema non si è limitato a bruciare il presente e l’immediato futuro. A questa generazione, soprattutto del Sud, sarà recapitato un omaggio anche nella vecchiaia. Come? Semplice. Con pensioni, che, ammesso che ci saranno, saranno da fame. Questa è la verità.

Se poi diamo un’occhiata ai dati frutto degli studi ufficiali, la realtà magari un po’ edulcorata, viene fuori. Ci ricorda la Svimez che il tasso di occupazione dei laureati nel Sud nel 2009 è stato del 54% contro il 75% del Nord.

E ancora: negli ultimi 20 anni 2,4 milioni di giovani hanno lasciato il Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione ufficiale si aggira intorno al 20%. Molto di più se si considerano tutti i lavoratori irregolari e tutti quelli che hanno smesso pure di provarci a cercare il lavoro (i cosiddetti Neet, not in employmet education or training) secondo l’Istat sono 1,2 milioni solo nel Sud.

Il Sud, Marzo 2011