«In Italia 30 mila piccoli schiavi»
Lavoro minorile: l’allarme nel rapporto di Save The Children

di Marida Lombardo Pijola

Ilmessaggero-080713

Trentamila piccoli schiavi. Tutti in pericolo. Tutti senza infanzia. Tutti sotto scacco da parte di un “padrone”. Sono una parte dei 260 mila bimbi o adolescenti italiani che lavorano. Ovvero 1 su 20: il 5,2 per cento di tutti quelli sotto i 16 anni. Lo denuncia il rapporto di Save The Children e dell’Associazione Bruno Trentin, nell’aggiornare i dati sul lavoro minorile, che erano fermi a 11 fa.

Aumenta il numero, cala l’età. Hanno tra i 7 e i 16 anni. Lavorano perché ne ha bisogno la famiglia, oppure per autofinanziarsi, oppure perché la scuola ha fallito, e se li è persi, e non se li riprenderà mai più. Sono per metà maschi e per metà femmine (queste ultime 46 per cento). Quattro su dieci lavorano in modo più o meno occasionale, gli altri no. Uno su quattro lavora per periodi lunghi fino a un anno, talvolta più di 5 ore al giorno (2 su 10). Altri di più, molto di più.

SCHIAVI
Sono i trentamila ai quali è negato del tutto il lusso dell’infanzia, dello studio, della salute, della sicurezza, della spensieratezza. E vivono da grandi, a faticare senza tutele né rispetto, a raccattare spiccioli, a farsi sfruttare, schiavizzare, maltrattare. Sono coloro che non giocano, non sognano, non ridono, non studiano, non fanno nulla di ciò che dovrebbero fare i bambini. Coloro che vivono con davanti un futuro identico al presente ed al passato, senza nulla che assomigli a un progetto, a un cambiamento, a un’occasione, a un desiderio. Nelle storie raccolte da Save, quasi tutti svolgono «un lavoro pericoloso per la salute, la sicurezza, l’integrità morale, anche di notte, in modo continuativo, senza nessuno spazio per il riposo, lo studio o il divertimento».

INTRAPPOLATI
E che lavori fanno? Il 40 per cento in attività di famiglia. Gli altri no. Minuscoli baristi, camerieri, commessi, ambulanti, sciampiste, agricoltori. Muratori. Nicola, a 12 anni, lo fanno salire sulle impalcature di 20/25 metri, «e il primo giorno avevo le vertigini e stavo svenendo, ma poi mi aggio abituato». Napoli: tanti sono lì. La maggior parte vivono al Sud. Ma ce ne sono tanti anche nel Nord Est, a Milano, a Roma..«Non ci sono i soldi per permettere ai figli di studiare -racconta un assistente sociale della Capitale- e così si incoraggia il figlio a trovare il lavoretto, per la famiglia significa tanto».

Salari non negoziabili: «Se chiedi quanto mi dai, ti mandano immediatamente via», racconta Andrea, 16 anni. «Nonostante gli orari pesantissimi, le paghe risibili e i rischi per la salute, la maggioranza di loro non hanno la consapevolezza di esser sfruttati, non sanno nemmeno cosa sia un contratto di lavoro», spiega Raffaella Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save The Children.

PUSHER
La trappola si allarga quando il lavoro non si trova, «e l’opportunità dei soldi facili coinvolge i ragazzi in attività criminali». Arrivano i reclutatori. Reclutano con poco sforzo. Piccoli pusher, piccoli ladri, piccoli rapinatori crescono. La mamma non lo sa. O invece sì, talvolta.
Racconta un volontario di Napoli: «Quando non ci stanno le entrate per mangiare, e il proprietario di casa dà lo sfratto, hai voglia a dire al figlio “non a rubare”. Quello risponde “ma io un lavoro non ce l’ho”. E allora la madre si rassegna, e dice “che ci posso fare?”». E non fa più domande. E lascia stare.

Il Messaggero, 8 luglio 2013