Le riflessioni dello scrittore campano Antonio Pascale che negli anni 70 imparò i meccanismi della malavita e della politica.



A Caserta, negli anni Settanta, noi della leva del 66 scoprimmo due entità: la camorra (prima) e la politica (poi). La prima bicicletta da cross mi fu sottratta da due ragazzini, molto sporchi. Nonostante avessero la mia età (circa 8 anni) erano bravi nell’arte della minaccia; nel mio caso, coltello alla gola e fionda puntata diritto alla tempia. Ricordo che parlavano un dialetto stretto, ai limiti della comprensione, ma nonostante questo, anzi proprio per questo, si fecero capire subito.
Fin qui, niente di strano: cose che possono capitare quando si gioca per strada. Quello che invece suonava strano fu che, dopo il furto, alcuni ragazzi, di qualche anno più grandi di me (10-11 anni), mi informarono che mi ero trovato di fronte non a due delinquenti comuni, ma ai figli di un boss locale (in ascesa) e che dunque, era necessario mettere in atto una strategia. Se volevo avere indietro la bicicletta, dovevo scegliere tra queste tre opzioni: a) pagare; b) chiedere protezione o aiuto a un altro ragazzo, anche lui figlio di un boss locale (a sua volta in ascesa), ma, pare, più forte e cazzuto; c) instaurare una trattativa, non con i due rapinatori ma con il fratello maggiore.
Ogni possibilità aveva i suoi pro e i suoi contro: pagare significava alla fine dimostrarsi deboli e dunque ricattabili in futuro. Chiedere protezione, voleva dire, in pratica, la stessa cosa, il protettore, di sicuro, ti avrebbe chiesto, prossimamente, un favore. Instaurare la trattativa, invece, nobilitava il mediatore, che, tra l’altro, detto in parole povere, sempre un pezzo di merda era. Se io gli davo importanza e un altro faceva lo stesso, alla fine si formava la convinzione comune che, quello, era veramente importante. Non era compendiata l’ipotesi: denuncia. Per la cronaca scelsi la terza opzione.
Qualche tempo dopo, quando, per le feste comandate, si riunivano tutti i parenti, noi ragazzini (circa 9 anni) scoprimmo l’esistenza dell’altra entità: la politica. Capitava che a tavola, parenti o amici raccontavano dei loro guai. Ce n’erano di tre tipi: lavorativi, lavorativi, lavorativi. Però distinti con gradi di diverse sfumature: a) bisognava sistemare un membro della famiglia, diplomato o laureato; b) far rientrare qualcuno che lavorava al nord a Caserta; c) ottenere una promozione sul lavoro o un nuovo incarico. Nonostante fossero tre problemi leggermente diversi, c’era un’unica soluzione: rivolgersi a un politico.
In questo caso, rispetto alle opzioni da usare in caso di furto bicicletta, la metodologia era sempre la stessa: contattare la segreteria politica e dimostrarsi fieri sostenitori della corrente politica. Non si trattava infatti di scegliere un partito fra i cinque che allora governavano, perché all’epoca contava solo la democrazia cristiana. Le segreterie del partito avevano orari da call center, spesso praticavano una sorta di open office, durante il quale, i segretari, mostravano interesse vivo verso le tue richieste e, nel frattempo, sistemavano, con fare distratto, i pacchi regalo ricevuti in dono. Naturalmente, nemmeno in questi casi si prendeva sul serio l’ipotesi: merito.
All’età di undici anni, insomma, la questione era chiara: anche se erano entità diverse, camorra e politica esigevano, per essere, affrontate, la stessa metodologia. Eri debole, avevi subito un torto, volevi ottenere qualcosa che ritenevi ti spettasse? La vulgata popolare ti consigliava di rivolgerti preventivamente a una delle due entità. La cosa strana, però, era che la politica diceva di non conoscere la camorra e la camorra fingeva di non occuparsi di politica. In effetti, fino al 1982, data di attuazione della legge Rognoni-La Torre, la criminalità organizzata, giuridicamente, nemmeno esisteva. E non solo a Caserta. Insomma si arriva al paradosso che un bambino di undici anni, per di più di Caserta, sapeva più cose dei nostri rappresentati politici.
Questo senso di scollamento è continuato inalterato negli anni. Dopo il terremoto (novembre 1980), noi ragazzi, sempre grazie alle informazioni dei nostri parenti, apprendemmo di due fondamentali novità del settore: per praticare certi lavori, in alcune zone dell’hinterland, non dovevi più passare per le segreterie politiche ma ti dovevi rivolgere direttamente ai boss locali. I quali, a loro volta, per meglio operare, avevano pensato bene di infiltrarsi in alcune segreterie politiche. C’era stato uno scambio simbolico. Anche qui la vulgata popolare narrava di interessanti meccanismi: alcuni politici avevano scelto l’opzione c), quella che anni addietro scelsi io per riavere la bicicletta, ossia, trattare con i fratelli maggiori, cioè con gli intermediari dei boss. C’erano parecchi soldi da gestire. Quelli della ricostruzione post terremoto. Parecchi soldi da capitalizzare, acquistando cocaina e finanziando il nascente mercato. Controindicazioni? La politica finiva per dare importanza al mediatore camorristico. Si correva il rischio di vivere sotto ricatto. L’altra scoperta fu che i camorristi non erano così sporchi. Anzi usavano la simpatia come strategia comunicativa. Se potevano avvicinarti con le buone, cioè regali, adulazioni varie, invece di fare la voce grossa e mettere in bilancio pallottole e bombe, allora, erano ben contenti.
Quando toccò a me lavorare nell’hinterland casertano, alcuni camorristi, cercando di ottenere un favore dettero ordine di trattarmi come un re. E l’ordine fu eseguito a puntino. Non pagavo nei ristoranti, mi offrivano il caffè e qualche volta, sono sicuro, facevano in modo che le ragazze mi sorridessero per strada. Dunque, alla fin fine, perché negare un favore a chi ti tratta così bene? Tanto è vero che, anni dopo, i giudici hanno stilato una classificazione ad hoc per registrare e valutare il regime di connivenza tra imprenditori e politici, cittadini e camorristi. Nella fattispecie, nel gergo giudiziario, gli imprenditori potevano essere subordinati (soggiacenti) o collusi (compiacenti). I primi allacciano con l’organizzazione criminale un rapporto di protezione passiva. Le loro attività sono sottoposte al controllo dei camorristi mediante il meccanismo della protezione. I secondi allacciano con l’industria della protezione un rapporto di protezione attiva, stabilendo un’interazione fondata sui legami di fedeltà e amicizia. La loro cooperazione è contenutisticamente più ricca.
Così dicevano i magistrati. Ma noi ragazzi adolescenti, per paradosso, lo sapevamo già. Ne eravamo al corrente, anche perché la vulgata popolare ci teneva informati: i camorristi operavano con violenza o estrema simpatia (è lo stesso) al sud, ma investivano al nord, perché soprattutto lì c’erano politici e imprenditori, soggiacenti o compiacenti, capaci di valorizzare il malloppo.
Strano a dirsi ma ancora una volta più abitavamo nelle periferie della patria più conoscevamo quello che accadeva in prossimità del cuore. Ancora più strano era che la politica fingeva di non saperlo. In effetti, a pensarci bene, è fondata la strategia di far passare i camorristi come brutti e cattivi, insomma, ritenerli parte di una genia maledetta. Così si evita di riflettere sulle nostre implicazioni (soggiacenti o compiacenti). Cos’è, in fondo, oggi Scampia? Un pezzo di quella filiera della cocaina che dal sud Italia conduce verso il nord. Una stazione violenta, ma del resto, per il buon andamento, meglio delimitare la violenza. È dunque un bene, per il commercio, far credere che lì al sud ci sia un mondo infernale, così il consumatore di cocaina, per esempio, può tranquillamente comprare la sua striscia e sentirsi in pace, perché l’inferno, così crede, non gli assomiglia. Con una mano finanzia l’inferno con l’altra paga la propria tranquilla eccitazione.
Ps. Ci sono tanti che stanchi di questo andazzo hanno sviluppato una metodologia conoscitiva grazie alla quale, stilisticamente, ci si distacca dalle suddette entità. Sono nati così, politici, magistrati, ingegneri, agronomi, giuristi, cittadini, insomma, non collusi né subordinati. La lotta per riavere la bicicletta può passare, con metodo, per altre strade.
Antonio Pascale

Il Sole 24 Ore    ( “Domenica”, inserto culturale)   
8 novembre 2009