Altamura, la citta Repubblicana che osò sfidare la Monarchia Borbonica

di Giuseppe Dambrosio

221 anni fa si concludeva tragicamente nella nostra città, tra il 9 e il 10 maggio del 1799, l’esaltante esperienza rivoluzionaria di segno repubblicano che interessò, con la stessa intensità, pochi altri centri del Regno di Napoli. Altamura, nei 100 giorni di autogoverno, non ebbe esitazione a far propri gli ideali della Rivoluzione Francese (libertà, fraternità ed uguaglianza) e a sperimentare nuove forme di partecipazione e organizzazione politica.

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Lo schieramento composito dei protagonisti (nobili, clero, intellettuali, borghesi, lavoratori, portatori di interessi diversi e contrapposti) trovò un momento di unità nel difendere la cosa più cara che li accomunava: l’indipendenza economica e politica della “propria” città. I conflitti che si trascinavano da tempo per il controllo dell’amministrazione della “università” (comune) tra vecchi e nuovi nobili e tra nobili e “civili” segnarono il passo di fronte al progetto politico controrivoluzionario del Cardinale Ruffo, che intendeva dare una lezione esemplare agli altamurani, che avevano osato, in modo così ostinato, abbattere la monarchia.

Il 10 maggio, durante la notte, presso il palazzo Carlucci, si tiene una riunione dei capi della resistenza. Si decide di far evacuare i cittadini da Porta Bari e Porta Santa Teresa, non controllate dai nemici. Alle ore 3 inizia il doloroso esodo. Pochi cittadini decidono di rimanere, a rischio della loro vita.Alle ore 4 il bombardamento nemico riprende inesorabile, ma Altamura non risponde più al fuoco. All'interno della città regna un profondo e misterioso silenzio. Alle prime luci dell'alba il Ruffo viene avvertito che Altamura è pressoché deserta. Viene incendiata Porta Matera e i nemici entrano in città. È il saccheggio: molti di quelli che avevano deciso di rimanere vengono brutalmente uccisi dai calabresi. Altamura è caduta.

Tutta l'armata è decisa a distruggere la città. Si innalza la reale bandiera su di un campanile, si spianta a viva forza l'albero della libertà che aveva continuato a nutrirsi e a radicare grazie all'umidità proveniente dalla cisterna sotterranea di Piazza Duomo.Il sacco si verifica con ferocia, senza sosta. Ogni casa viene spogliata di tutto quanto possiede: mobili, oro, argento, rame, biancheria, salami, formaggio, olio. Si rompono gli specchi alle carrozze vecchie e si portano via le buone. I soldati dell'armata non rispettano né vecchi, né donne, né monache, né sacerdoti. Uccidono quanti, vecchi ed infermi, trovano nelle abitazioni, per le strade, nelle chiese.

I nomi dei morti del 9 e 10 maggio registrati dai parroci nei registri parrocchiali sono 37, di cui 7 ecclesiastici, 6 civili, 3 nobili, 18 popolani, 3 donne. Ma sicuramente sono molti di più.

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 Anche i materani fanno la loro parte: portano via 105 carri carichi di fine biancheria, seta, lana, lino, imbottite, ferri di letti e batterie da cucina. Alcuni calabresi fanno un mercato nelle botteghe della Piazza: espongono e vendono biancheria, abiti e altro, e gli infelici altamurani sono costretti a comprare un po' di biancheria per cambiarsi. Altri vanno in tutte le masserie e rapinano intere greggi di pecore, buoi, mucche, cavalli e ogni genere di animali, attrezzi agricoli, vettovaglie. Il Ruffo non entra subito in città con i suoi: si ferma nel convento dei Domenicani e poi assiste, nel gran largo, fuori Porta Matera, alla ripartizione del bottino, prendendo per sé la parte migliore.

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Mentre si compie tale operazione, gli si presenta per rendergli omaggio don Marzio Firrao, di sicura fede borbonica. Con lui è suo figlio Giovanni che ha sposato la fede repubblicana ed è vestito alla "giacobina". Mentre don Marzio si prostra davanti al cardinale un colpo di fucile colpisce mortalmente Giovanni. Tutto è ancora avvolto nel dubbio, ma Giovanni Firrao resta il mito della rivoluzione altamurana del 1799.

Il Ruffo entra in Altamura alle ore 19 di venerdì 10 maggio e va ad abitare nel convento di San Francesco.

Vedendo la città disabitata emette un bando minacciando arresti e confisca di beni, per cui sono in molti a far ritorno.

Molti furono i prigionieri, gli esiliati, gli emigrati che dopo la pace tra il Re di Napoli e la Repubblica Francese (pace di Firenze, 28 marzo 1801) possono finalmente rivedere il ritorno in città.

4. gli arrestati di Altamura FILEminimizer

Quegli eventi hanno segnato la storia successiva della nostra città e a noi altamurani è stata consegnata un’eredità gravosa: la voglia di vivere la politica (il governo della cosa pubblica) con autentica passione democratica e nell’interesse dell’intera comunità. 

* Le fonti qui pubblicate provengono dall'ABMC (Archivio Biblioteca Museo Civico) di Altamura e dalla Biblioteca Nazionale di Napoli.