La crisi dell'uomo

di Albert Camus

Mercoledì, Bompiani licenzia “Conferenze e discorsi (1937-1958)” di Albert Camus, per la prima volta tradotti in Italia. Anticipiamo stralci de “La crisi dell'uomo”, intervento che il premio Nobel tenne negli Usa nel 1946.

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La comunicazione è ciò che oggi dobbiamo tener vivo per difenderci dall'omicidio. E per questo, ora lo sappiamo, dobbiamo lottare contro l'ingiustizia, contro l'oppressione e contro il terrore, perché sono questi tre flagelli a fare regnare il silenzio tra gli uomini, ad alzare fra loro barriere, a renderli indecifrabili gli uni agli altri ea impedire loro di trovare l'unico vero valore che possa salvarli da questo mondo desolante, che è la lunga fraternità degli uomini in lotta contro il loro destino. Alla fine di questa lunga notte, adesso finalmente sappiamo che cosa dobbiamo fare di fronte al mondo dilaniato dalla crisi.

Che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo:

1) CHIAMARE LE COSE con il loro nome e renderci conto che uccidiamo milioni di uomini ogni volta che accettiamo di pensare certi pensieri. Un uomo non pensa male perché è un assassino. È un assassino perché pensa male. Perciò si può essere un assassino senza apparentemente avere mai ucciso. Ed è così che siamo più o meno tutti degli assassini. La prima cosa da fare è quindi il rifiuto puro e semplice con il pensiero e l'azione di qualunque forma di pensiero realista e fatalista.

2) LA SECONDA COSA da fare è decongestionare il mondo dal terrore che vi regna e che impedisce di pensare bene. E poiché ho sentito che proprio in questa città si tiene una sessione importante dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, potremmo suggerirle che il primo testo scritto di questa organizzazione mondiale proclami solennemente, dopo il processo di Norimberga, la soppressione universale della pena di morte.

3) LA TERZA COSA da fare è ridimensionare la politica attribuendole il ruolo secondario che le spetta. Non si tratta, infatti, di dare a questo mondo un vangelo o un catechismo politico o morale. E la grande iattura della nostra epoca è invece che la politica pretende di fornirci insieme un catechismo, una filosofia completa e talora persino un’arte di amare. Ma il ruolo della politica è far funzionare le cose, non risolvere i nostri problemi interiori. Ignoro, per quel che mi riguarda, se esista un assoluto. Ma so che non è di ordine politico. L’assoluto è una questione che non concerne tutti: concerne ciascuno di noi singolarmente. E occorre impostare i rapporti reciproci in modo che ciascuno abbia l’agio interiore di interrogarsi sull’assoluto. La nostra vita può anche appartenere agli altri ed è giusto donarla quando è necessario. Ma la nostra morte appartiene solo a noi. E questa è la mia definizione di libertà.

4) LA QUARTA COSA da fare è cercare e creare, a partire dalla negazione, i valori positivi che permetteranno di conciliare un pensiero negativo e le possibilità di un’azione positiva. È il compito che spetta ai filosofi e del quale ho fornito solo un accenno.

5) LA QUINTA COSA  da fare è capire che questo approccio implica la creazione di un universalismo in cui potranno ritrovarsi tutti gli uomini di buona volontà. Per uscire dalla solitudine occorre parlare, ma occorre parlare in modo schietto e non mentire mai e dire tutta la verità che si conosce. Ma si può dire la verità solo in un mondo in cui questa è definita e fondata su valori comuni a tutti gli uomini.

Non è certo Hitler a poter decidere che questo è vero e quest ’altro non lo è. A nessun uomo al mondo, né oggi né mai, è permesso decidere che la sua verità è così giusta da poter essere imposta agli altri. Solo la coscienza comune degli uomini, infatti, può nutrire una simile ambizione. E occorre ritrovare i valori di cui vive questa coscienza comune. La libertà che per finire dobbiamo conquistare è il diritto di non mentire. Solo a questa condizione conosceremo le nostre ragioni di vivere e di morire. Questo è, per quel che ci riguarda, il punto cui siamo giunti. E forse non era il caso di andare tanto lontano per arrivare qui. Ma dopo tutto la Storia degli uomini è la storia dei loro errori e non della loro verità. La verità forse è come la felicità, è semplice e non ha storia. Significa forse che per noi tutti i problemi sono risolti? No di certo. Questo mondo non è né migliore né più ragionevole. Non siamo ancora usciti dall’assurdo. Ma abbiamo perlomeno una ragione per provare a cambiare la nostra condotta, ed è proprio quella ragione che finora ci mancava. Il mondo continuerebbe a essere desolante se non ci fosse l’uomo, ma l’uomo c’è e ci sono le sue passioni, i suoi sogni e la sua comunità.

Alcuni di noi, in Europa, uniscono una visione pessimistica del mondo un profondo ottimismo riguardo all'uomo. Non abbiamo la pretesa di sottrarci alla Storia, poiché nella Storia ci siamo già. Pretendiamo solo di lottare dentro la Storia per preservare dalla Storia quella parte dell'uomo che non le appartiene. Vogliamo solo ritrovare la via verso una civiltà in cui l'uomo, senza distogliersi dalla Storia, non le sarà più asservito, in cui il dovere che ogni uomo ha nei confronti degli altri uomini sarà controbilanciato dalla riflessione, dal tempo a propria disposizione e dalla parte di felicità che ciascuno deve a se s tesso.

© Éditions Gallimard, Parigi, 2006, 2008 e 2017 © 2020 Giunti Editore Spa / Bompiani

Il Fatto Quotidiano 10 settembre 2020