La rivolta contro il  regime dei Khamenei-Ahmadinejad nelle insanguinate strade di Teheran.

di RENZO GUOLO

Come nel 1978, ai tempi della rivolta contro lo Shah, l´Ashura è stata davvero il "giorno del sangue". E, come allora, non si tratta di quello versato nei cortei dei flagellanti che si battono con catene e trafiggono con lame testa, braccia e petto trasformandosi in maschere insanguinate.
Nella passione che ricorda il sacrificio di Hussain, terzo imam della shi´a ucciso a Kerbala dal califfo sunnita Yazid, morte che caratterizza lo sciismo come religione del rifiuto dell´ingiustizia, il sangue che segna la ricorrenza è quello dei manifestanti uccisi.
Come di più di trent´anni fa, quando gli iraniani scesero in piazza contro il regime Pahlavi, i dimostranti avevano due obiettivi: ribadire che Kerbala significa non accettare la resa al dispotismo; mostrare che l´ingiustizia può assumere il volto demoniaco del potere anche nel mondo sciita. Così nelle insanguinate strade di Teheran si udiva gridare sia «Ya Allah!», o Dio!, sia «Marg bag diktator!», morte al dittatore, slogan indirizzato, più che al solo Ahamdinejad, anche a Khamenei. Mutamento importante, perché mostra come nel mirino dell´opposizione, o almeno della sua ala più insofferente, il bersaglio non sia non più la sola legittimità del voto del 12 giugno ma la stessa Guida. Con tutte le conseguenze che ne derivano.
Che questo 10 di Moharran potesse trasformarsi nella cronaca di una morte annunciata per quanti scendevano in piazza, era nelle cose. Per questo assume un significato politico ancora più rilevante. Che l´opposizione volesse sfruttare l´occasione della festività sciita era noto: anche perché l´Ashura coincideva con la celebrazione del lutto, che si tiene sette, e quaranta, giorni dopo la scomparsa dell´ayatollah Montazeri, l´ex-delfino di Khomeini divenuto, nel tempo, la fonte di legittimazione religiosa dello schieramento ostile alla diarchia Khamenei-Ahmadinejad. Che l´asse fondato sul potere nero del clero conservatore e del "partito dei militari" potesse usare la mano dura era altrettanto prevedibile. Il "basta!" alle manifestazioni annunciato, insieme alla minaccia di cancellare l´opposizione dal panorama iraniano, dalla Guida poche settimane fa non lasciava dubbi. Ma violare quel divieto era facile nel giorno in cui milioni di iraniani riempivano le strade per celebrare il martirio di Hussain. La forza della protesta, e la sua estensione in città diverse dalla capitale, come Tabriz o Isfahan, ha indotto il regime, o la parte di esso che riteneva un segnale di debolezza lasciare dilagare la protesta senza intervenire, alla prova di forza.
Siano una decina o meno le vittime, e tanto più se tra esse vi è il nipote di Moussavi, l´Ashura del 2009 segna, comunque, il massimo punto di crisi del potere. Rotto, ancora una volta dopo Neda, il tabù del sangue, è prevedibile che si inneschi una spirale reazione-repressione, che potrebbe avere sviluppi impensati. E non solo per le, ricorrenti, voci di poliziotti che rifiutano di sparare ad altezza d´uomo. Del resto pochi, dentro e fuori l´Iran, pensavano che dopo la fiammata seguita al 12 giugno la protesta sarebbe proseguita. Soprattutto in assenza di un leader carismatico, qualità che Moussavi non possiede. Eppure l´Onda verde è riuscita a trasformare l´assenza di carisma in leadership collettiva. Condizione di forza e debolezza, quella in cui il movimento trascina i leader, che ha spinto l´opposizione a abbandonare il realismo prudente di Khatami e di Moussavi. E a cercare, trasformando Khamenei e Ahamdinejad in novelli Yazid, la sfida destinata a mutare la scena.
L´Ashura di sangue rivela che in discussione è, ormai, la stessa natura del regime. L´opposizione si nutre di parole d´ordine islamiche, così come lo sono i suoi leader e come lo era il suo punto di riferimento religioso Montazeri. Ma il sistema, irrigidito nella brutale amicizia tra turbanti e elmetti, non sembra più poter tollerare il residuo margine di pluralismo che derivava dalla istituzionalizzazione delle fazioni. La pretesa delle milizie, Pasdaran e Basij, e l´ambizione di Khamenei e dell´entourage che lo circonda, di erigersi a unici e autentici custodi della Repubblica Islamica nata della Rivoluzione, non lascia spazio a mediazioni. Così l´Ashura 2009, seguita da celebrazioni di lutti destinate a generare altri lutti, come già accadde nel 1978, potrebbe essere l´anticipo di un lavacro ancora più grande. Destinato a far pericolosamente fibrillare la Repubblica Islamica

Repubblica 28 dicembre 2009