Bari, 28 luglio 1943 la  strage di via Niccolò dell'Arca

a cura di Giuseppe Dambrosio

 

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La mattina del 28 luglio 1943 la notizia diffusa da alcuni quotidiani che i detenuti politici sarebbero stati rilasciati nella giornata, provocò la mobilitazione spontanea di studenti e professori che organizzarono un corteo con l’intento di andare incontro agli intellettuali detenuti. Più di 200 manifestanti per lo più giovanissimi (diversi erano studenti medi e universitari), dopo aver attraversato alcune strade del centro di Bari, e dopo aver invaso i locali del gruppo rionale fascista “Barbera”, giunti nei pressi della federazione del partito fascista, in via Niccolò dall’Arca, dove era stato dislocato un reparto dell’esercito, chiesero all’ufficiale che comandava il nucleo, la rimozione delle insegne del fascismo. I manifestanti, pacificamente, al grido di viva la libertà, si apprestavano ad andare incontro ai numerosi antifascisti rinchiusi nel carcere di Bari, tra i quali i filosofi Guido Calogero, Guido de Ruggiero, il latinista Tommaso Fiore, il giudice Michele Cifarelli e numerosi giovani intellettuali della città.

Mentre il prof. Fabrizio Canfora tentava di spiegare all’ufficiale l’intento pacifico dell’iniziativa, senza alcuna spiegazione e senza preavviso, contemporaneamente dalle finestre della federazione e dal reparto militare si sparò ripetutamente sul corteo. A sparare per primo fu il sergente Carbonara Domenico, appartenente al 4° battaglione San Marco, in licenza, che inseritosi nel corteo si portò successivamente alle spalle della truppa ed iniziò ad esplodere alcuni colpi di pistola sui manifestanti. In pochi attimi la strada si ricoprì di morti e di numerosi feriti che non furono soccorsi con tempestività per l’atteggiamento dei militari, e soprattutto, perché si dispose il suono prolungato delle sirene che venivano attivate quando c’era il rischio di un attacco aereo.Tra i primi a cadere fu Graziano, il più giovane dei figli di Fiore, che agitando una bandiera si era posto alla testa dei manifestanti. Il tragico bilancio della strage, 20 morti e 38 feriti secondo le cifre ufficiali. Gli apparati dello Stato ereditati dal passato regime riuscirono per circa un anno con la censura e con una inaudita repressione a tenere nascosto l’eccidio; furono, infatti, arrestati e denunciati Luigi de Secly, redettore capo della Gazzetta del Mezzogiorno (ne sarebbe poi diventato il direttore) assieme a diversi altri manifestanti tra cui Fabrizio Canfora, Mimì Loizzi e Carlo Colella.

 La notizia comunque raggiunse gli esuli antifascisti tra cui Gaetano Salvemini e Luigi Einaudi, che rimasero impressionati dalla violenza inaudita del vecchio stato e della restaurazione autoritaria tentata da Badoglio e dalla monarchia. I protagonisti di quella intensa e drammatica stagione politica non si piegarono e riuscirono a portare avanti la battaglia per la libertà di stampa e per il rinnovamento istituzionale. 

Il recente ritrovamento del fascicolo processuale della "Procura militare del re imperatore" di Bari, inaccessibile per più di sett'antanni, riserva particolari  inediti che getteranno una nuova luce su quei tragici eventi.

 

* Notizie e riferimenti testuali tratti da articoli della "Gazzetta del Mezzogiorno" di Vito Antonio Leuzzi