Altamura nel Settecento e l'esperienza repubblicana del 1799

di Giuseppe Dambrosio

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L’esplosione rivoluzionaria repubblicana che vide in prima linea la città di Altamura nel 1799, insieme a molti altri centri del Regno di Napoli, si comprende se si tengono nella dovuta considerazione notevoli mutamenti che interessarono, nel secolo XVIII, il contesto europeo e che determinarono una trasformazione dell’economia e, nell’ultimo decennio, lo scoppio di una rivoluzione sul modello di quella francese.

Nel ‘700 si ha un graduale incremento della popolazione e un aumento della produzione. Anche il Regno di Napoli partecipa a questo nuovo corso. La felice fase economica, anche se non mancarono periodi di flessione e di stasi, interessa intere aree del meridione. Nelle province pugliesi, tra il primo e l’ultimo decennio del secolo, la popolazione raddoppia arrivando a sfiorare i 900.000 abitanti. In Terra di Bari erano diversi i centri di medie grandi dimensioni. Alla fine del secolo quasi la metà dei comuni meridionali con più di 10.000 abitanti era concentrata in Puglia e ben nove su sedici, in terra di Bari. Erano centri rurali o amministrativi delle aree interne come Manfredonia, Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta, Bari, Mola, Monopoli, Gallipoli e Taranto.

Altamura segue la stessa tendenza e vede un ritmo costante di crescita: dai 10.845 abitanti nel 1751 si passa ai 15.170 del 1781 per arrivare ai 16.918 del 1792. L’aumento non era dovuto allo spostamento nella nostra citta di “forestieri”, ma ad un incremento naturale determinato delle possibilità di sopravvivenza, spia di una situazione economica che permetteva occupazione stabile e buone condizioni di vita. Specialmente durante il periodo di Carlo Borbone (1735 – 1759) si assiste ad una crescita dell’agricoltura, favorita dal buon andamento climatico, dall’impiego di una maggiore manodopera e dall’equilibrio che si venne a creare tra derrate alimentari e il. Un’agricoltura, di certo, non basata su innovazioni tecnologiche ma su un incremento di produttività.

Il Settecento può essere definito il secolo del grano e la produzione dei cereali ha una grande diffusione. Tale fenomeno esplode dopo gli anni ’60 in risposta alla crisi che aveva creato grossi problemi nell’approvvigionamento alimentare dei centri urbani, e in modo particolare, di Napoli. Altamura è in questo periodo una università (comune) ricca: nel suo agro che ha una estensione di  443,224 Kmq., il più ampio demanio in Terra di Bari, la produzione di cereali era molto alta, tale da soddisfare i bisogni interni e quelli legati all’esportazione nel  regno d i Napoli, attraverso l’Adriatico e il porto di Taranto. Ma, già alla fine del XVII secolo, la città aveva recitato un ruolo di primo piano: durante la peste del 1691 aveva rifornito l’intera provincia di grano, castrati e di zoccana (panna derivato dalla lana); il peso determinante della sua fiera, quella di San Marco, aumenta a tal punto che il viceré dispone di spostarla a Matera, luogo più strategico. Sempre a tal proposito, nel 1734 ha fine l’annosa disputa con la vicina città di Gravina in cui si teneva la fiera di San Giorgio, tanto che Carlo III dispone di favorire gli altamurani e si spostare la data di quella di Altamura dal 21 al 12 aprile, anticipando così quella di Gravina che si teneva il 15 aprile. Inoltre cìera l’usanza, il sabato santo di ogni anno, da parte dei cittadini di Bitonto, di venire ad Altamura a prendere la “tariffa dei prezzi delle cose commestibili”, che era estesa ai centri dell’intera provincia. Quali condizioni avevano reso possibile questo sviluppo e uno stato di benessere così generalizzato? La ricchezza era dovuta alla facilità nel reperire terreni, alla loro messa a coltura, alle alte rese produttive e al sistema di coltivazione adottato. Inoltre Altamura aveva il vantaggio, rispetto ad altri comuni di essere una università allodiale (non soggetta agli obblighi feudali) e di aver avuto signori (i Farnese, che avevano retto la città dal 1694 al 1727) residenti lontano non frapposero ostacoli di alcun genere al suo libero sviluppo. La struttura della società, come succedeva in altre realtà in cui il regime feudale era ancora intaccato, non dipendeva dalla nobiltà e dal clero.

In Altamura si assiste alla nascita di una piccola proprietà che si fondeva con i braccianti (“bracciali” si chiamavano allora) al servizio dei proprietari terrieri con dignitosi livelli di vita e il numero degli indigenti, come si evince dai dati disponibili per quel periodo, era minimo, quasi inesistente. Vi era, inoltre, un ceto medio formato da massari, “bonatenenti” e professionisti in crescita e con un peso economico rilevante, fenomeno ancora da studiare e interpretare. Così coesistevano i piccoli fondi dei contadini e la grande proprietà nobiliare ed ecclesiastica. E’ da rimarcare, altresì come la nobiltà altamurana non fosse assenteista, ma era interessata all’impiego di risorse e manodopera per il funzionamento delle masserie, unità produttive cerealicolo-pastorali di medie e piccole dimensioni, che attiravano lavoratori stagionali nel  periodo della semina e soprattutto del raccolto. Mentre il piccolo contadino aspettava la fiera per proporre e vendere i suoi prodotti, i grandi proprietari terrieri, principalmente i nobili, erano dediti all’esportazione ed avevano intessuto rapporti non episodici di scambio di grosse quantità di cereali che prendevano la via di Napoli.

Ne vien fuori non il solito quadro di una realtà del mezzogiorno povero in cui i nobili avevano un dominio assoluto e incontrastato, ma un equilibrato sistema economico sociale, finanziario e produttivo con enormi potenzialità di sviluppo che, è purtroppo, non ebbero completa attuazione. Nel periodo napoleonico, infatti, vi fu una vertiginosa caduta delle esportazioni di cereali dovuta alla concorrenza del grano che proveniva dall’Europa nord-orientale (Russia, Polonia, Ungheria).

E’ in quel periodo che l’arcidiacono della Chiesa di Altamura Luca De Samuele Cagnazzi (1764- 1852) vede peggiorare la situazione altamurana. La popolazione diminuisce, calando a 13.750 abitanti nel 1810, a 13.694 nel 1812 e a 10.876 nel 1824. Incominciano le migrazioni degli altamurani per l’abbandono dell’agricoltura estensiva verso quella intensiva praticata nei centri della costa barese; si delinea la situazione che caratterizzò d’allora in poi in poi il mezzogiorno: cercare altrove sbocchi lavorativi per potere vendere la propria unica riserva, le braccia.

La situazione prima descritta è preparata da un clima intenso. Era giunto anche nella provincia l’eco del pensiero riformatore che aveva investito la capitale Napoli.Il pensiero di Genovesi, che spingeva per una nuova politica economica, trovò terreno fertile presso intellettuali pugliesi come il Palmieri, che bonificò e migliorò le terre nelle vicinanze di Lecce e presso Filippo e Domenico Briganti che cercarono nuovi metodi per incrementare la produzione di olio nella zona di Gallipoli. La puglia diventa laboratorio ove sperimentare nuovi modi di produrre e tale interesse, nell’ambito del cosmopolitismo dell’epoca illuministica, si accrebbe per la venuta di viaggiatori stranieri. Personaggio di levatura europea fu Pietro Giannone, nato ad Ischitella sul Gargano (1647 – 1748). Impegnato in campo giuridico, fautore di un nuovo assetto politico-amministrativo nel Regno. Bisognava soddisfare, a tal fine, il bisogno di formazione di una nuova classe dirigente e di nuovi quadri per la burocrazia. Nascono le accademie, famosa quella di Terlizzi, promossa da patrizi, ecclesiastici e da borghesi sotto la guida di Ferrante De Gemmis Maddalena.

Ad Altamura nel 1748 si fonda ad opera dell’arciprete della chiesa palatina Marcello Papiniano Cusani, l’università degli studi, scuola a carattere universitario con un corpo docente di formazione spiccatamente laica ( con fondi che erano stati accantonati da un secolo per l’istituzione di un vescovado in luogo dell’Arcipretura) nella quale, accanto a discipline umanistiche, si studiavano quelle giuridiche mediche e, in seguito, i principi delle scienze matematiche, chimica, botanica in rapporto soprattutto all’agricoltura, come volle esplicitamente l’arciprete De Gemmis, arcidiacono di Terlizzi, sensibile all’insegnamento genevosiano, sotto il quale l’istituto raggiunge il massimo splendore.

Un cenno ai docenti si rende necessario. Vi insegnarono il padre domenicano Orazio Gaspari, acuto insegnante di letteratura italiana e latina, gli succedono gli altamurani Agazio Angelastri e Giovan Battista Manfredi. Leopoldo Laudati fu il primo insegnante di eloquenza greca al quale succede Mario Tirelli. Alla cattedra di filosofia e matematica viene chiamato Giuseppe Carlucci, primicerio della chiesa di Altamura, il quale fu socio di molte accademie, viene sostituito, in seguito, dal canonico Paolo Ruggiero e dal Cagnazzi, illustre autore di due opere fondamentali e importanti: Elementi di economia politica e il saggio del Regno di Puglia che lo resero, prima uomo appassionato del periodo delle riforme economico-sociali, degli ideali illuministici  e umanitari, poi studioso distaccato della realtà economica e sociale, alto funzionario  e amministratore nell’Ottocento. Dopo il 1799, il Cagnazzi viene sostituito dal dott. Grazio Battista di Cassano Murge, poi dal canonico Vincenzo Popolizio nell’insegnamento della matematica e da Gioacchino Grimaldi per quanto riguardava la fisica. La cattedra di Diritto civile e canonico, prima occupata dal Cusani viene affidata all’avvocato Domenico Bastelli. Succede sulla stessa l’avvocato Francesco Bovio, che rimane nell’università sino al 1808. Per l’insegnamento di anatomia, medicina e botanica viene prescelto fra (La)Vista di Molfetta, nel 1757 la cattedra viene affidata all’altamurano Tricarico, il quale presta il suo insegnamento fino al 1777. Per l’insegnamento della teologia viene chiamato Giovanni (La) Vista, fratello del medico molfettese, poi il canonico Tirelli, in seguito fra’ Giuseppe Patella e, infine, il canonico Vito Antonio Giannuzzi.

Presso l’università, dal 1874 al 1799, si formano i nuovi intellettuali provenienti dalle province della Puglia e della Basilicata che furono i più accaniti sostenitori dell’esperienza repubblicana, alcuni dei quali, per la loro coerenza e lealtà alla causa giacobina, furono oggetto della feroce reazione del cardinale Ruffo. Dopo gli eventi tragici del ’99 i docenti, che da anni avevano prestato la loro qualificata opera di insegnamento, furono allontanati. L’università continuò a vivere nell’Ottocento ma non ebbe la spinta propulsiva dei periodi migliori.

Nell’ultimo trentennio in Puglia gli effetti del riformismo e della cultura illuministica si fanno sentire maggiormente. E’soprattutto la massoneria che svolge un ruolo di sensibilizzazione a livello politico ed ideologico e funge da tramite con l’Europa e specialmente con la Francia rivoluzionaria. Le logge massoniche si diffondono ad Altamura, Acquaviva, Bari, Martina Franca, Lecce, Gallipoli, taranto, Lucera e sono direttamente collegate a quella napoletana. Gli affiliati, attraverso legami nuovi, nuovi valori di solidarietà, maturano una coscienza politica.

Quando viene proclamata la repubblica napoletana del 1799, sotto la pressione delle armate francesi, in Puglia vi è una situazione molto frammentata. La città di Altamura, insieme ad Acquaviva, Martina Franca, centri di cultura e di lotta antifeudale, aderisce con convinzione. Altrove l’adesione alla repubblica vede gruppi di borghesi isolati, che avevano come obiettivo soprattutto quello di salvaguardare i beni dalle rivolte dei contadini, i quali pensavano di farla finita con una situazione di miseria che aveva reso la vita sempre molto dura. Sembrava a portata di mano l’obiettivo, da sempre perseguito, della divisione delle terre demaniali. L’adesione alla spedizione del Cardinale Ruffo (1774 – 1827), vincente in Puglia, è determinata non tanto per affezione al Re o alla santa fede, cosa che certamente era presente, ma per le fratture che esistevano tra i gruppi sociali. A questi motivi si aggiungevano gli antagonismi tra centri vicini, come quello che interessa la città di Matera e Altamura. La prima, dopo pochi giorni di esperienza repubblicana, diventa ossequiosa ai Borboni e diviene l’avamposto da cui partono le truppe del cardinale Ruffo per sferrare l’attacco decisivo alla repubblica altamurana.

L’esperienza della repubblica partenopea, da cui presero le mosse molti centri dell’Italia meridionale, fu intensa ma di breve durata: proclamata nel gennaio 1799, dopo che le truppe del generale francese Championnet avevano travolto la resistenza borbonica, essa vive soltanto cinque mesi e vede la partecipazione della nascente classe borghese e del popolo, di una parte della nobiltà e del clero che fu costretta dagli eventi a giocare un ruolo importante. L’esperienza altamurana dura dal 1 febbraio al 10 maggio 1799. Come in tutti i centri si innalza l’albero della libertà simbolo, emblema dell’abbattimento del potere assoluto del re, momento iniziale del nuovo corso repubblicano. Gli ideali della rivoluzione francese (libertà, fraternità ed uguaglianza) sono il vessillo che spinge a sperimentare una nuova forma di governo e di organizzazione sociale. Ma come mai Altamura si proclama così facilmente repubblicana. Nel secolo precedente Altamura era stata devota alla repubblica napoletana, conosciuta meglio come rivolta di Masaniiello (1647 – 1648), che coinvolse principalmente Napoli ma interessò molte altre città demaniali del Regno. Queste città si erano ribellate ai loro signori feudali (feudatari) gelosi della propria indipendenza. Proclamarsi repubblica, in quel contesto, significava, voleva dire governarsi secondo le proprie consuetudini scritte e non, difendere le usanze inerenti il lavoro dei campi, il commercio, il modo di vivere, la religione. Non bisogna dimenticare che il governo dell’università (comune) si reggeva su un organo collegiale in cui erano rappresentato anche il popolo che aveva limitato il potere del signore. Si regolavano le proprie entrate secondo i bisogni del luogo; se la città era di medie e grosse dimensioni, aveva dei propri giudici ed un proprio tribunale. Con la rivoluzione francese la “repubblica” assume un altro significato e diventa un modo di governarsi contrapposto alla monarchia; la “libertà”, prima intesa in senso negativo, libertà di non fare qualcosa (Altamura era libera di non pagare determinate tasse al suo signore, cioè ai Farnese, e quindi libera di amministrarsi da sola) durante la rivoluzione francese, ma già nel periodo illuministico, significa tutto ciò che le leggi non vietano e consentono e che, soprattutto, il senso di concordia dei cittadini non vieta. Ognuno può esprimere liberamente la propria opinione e farla valere attraverso la rappresentanza democratica. La patria diventa il luogo (la nazione) di tutti quelli che sono accomunati dai valori di libertà, fraternità ed uguaglianza. Altamura vive in modo esaltante questo cambiamento come altre città del centro e del nord della penisola. Quando queste idee hanno attuazione nel Regno di Napoli, l’entusiasmo delle repubbliche sorelle del centro-settentrione si è esaurito ed è stato sconfitto perché, tra il 1796 e il 1799, la rivoluzione francese si è profondamente modificata e ha perso il suo carattere di fautrice della libertà e della repubblica. Il processo rivoluzionario ha attraversato il periodo del Terrore, ma già, ’98 – ’99, si è ripiegato su stesso anche dal punto di vista delle riforme politico-sociali. Tale situazione si ripercuote sulle repubbliche giacobine italiane. Gli ideali della rivoluzione sono ormai uno slogan vuoto, c’è una grandissima disillusione perché la Francia pensa alla sua difesa e l’occupazione dell’Italia è finalizzata a reperire risorse per questo scopo.

La strenua difesa degli altamurani contro l’offensiva del cardinale Ruffo, pertanto, non vide mai il tanto sperato aiuto dei francesi che, alla fine di aprile, sono costretti ad abbandonare la Puglia per il precipitare degli eventi nel nord, dove gli austro-russi occupano il 28 aprile del 1799, Milano l’ex capitale della repubblica cisalpina. Ai primi di maggio, il cardinale Rosso penetra nella Puglia dopo aver attraversato la Calabria e la Basilicata. Il suo obiettivo era quello di congiungersi alle armate russe e turche in Terra d’Otranto, di ristabilire a tutti i costi in Puglia il dominio borbonico. Altamura resiste con molto eroismo e, dopo una difesa disperata, viene espugnata e saccheggiata dalle truppe sanfediste la notte tra il 9 e 10 maggio 1799. Nella notizia ministeriale data dal cardinale Fabrizio Ruffo dal quartier generale in Altamura, il 16 maggio 1799 così si legge: “Altamura quella forte, e ben munita Città, che credendosi insuperabile aveva disprezzati gl’inviti di dover ritornare all’ubbidienza del Re; malgrado l’ostinata sua resistenza, fu nel giorno di venerdì prossimo scorso dieci andante maggio, mercé il valore delle invincibili nostre truppe, presa per assalto, e saccheggiata.”

Quei tragici avvenimenti rimangono tra le pagine più importanti della resistenza repubblicana nelle province del Regno. Così l’antico splendore della città era stato intaccato sul piano politico, sociale ed economico e l’esperienza repubblicana era stata soffocata sul nascere.