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Per il movimento delle città-stato private è un incredibile colpo di fortuna. Sono anni che cerca d’imporre l’idea estrema secondo cui i ricchi contrari alle tasse dovrebbero fondare dei feudi personali, un nuovo paese su un’isola artificiale in acque internazionali o una “città della libertà” dove fare affari senza vincoli, come Próspera, in Honduras, che è un incrocio tra una comunità esclusiva e una spa.
Eppure, nonostante il sostegno di pesi massimi della finanza come Peter Thiel e Marc Andreessen, i sogni degli estremisti libertari si sono più volte arenati: a quanto pare la maggior parte dei ricchi con un po’ di amor proprio non vuole vivere su una piattaforma petrolifera galleggiante, neanche se permette di pagare meno tasse. Quanto a Próspera, forse va bene per una vacanza e qualche “trattamento” per il corpo, ma il suo status giuridico extranazionale è stato contestato in tribunale.
Ora all’improvviso questo gruppo un tempo secondario di capitalisti secessionisti si vede spalancare le porte dal centro del potere globale. Il primo segno che le cose stavano cambiando è arrivato nel 2023, quando Donald Trump, in vista di un ritorno alla Casa Bianca, ha promesso di organizzare un concorso per creare dieci “città della libertà” sul territorio degli Stati Uniti. All’inizio la proposta è passata inosservata, persa nel fiume di dichiarazioni provocatorie. Ma da quando la nuova amministrazione si è insediata, gli aspi- ranti fondatori di nuovi paesi hanno cominciato a fare pressioni per trasformare la promessa di Trump in realtà.
In fermento
“A Washington c’è un gran fermento”, ha detto compiaciuto Trey Goff, il capo del progetto Próspera, dopo una visita al congresso. La legge che spianerà la strada alle città-stato private dovrebbe essere pronta per la fine dell’anno, sostiene Goff.
Ispirate da una lettura distorta dei testi del filosofo politico Albert Hirschmann, persone come Goff, Thiel e l’investitore e scrittore Balaji Srinivasan rivendicano il diritto all’“uscita”: cioè la possibilità, per chi può permetterselo, di sottrarsi agli obblighi della cittadinanza, in particolare alle tasse e all’intralcio delle leggi. Riprendendo e rinnovando le vecchie prerogative degli imperi, sognano di smantellare i governi e di ridisegnare il mondo intorno a paradisi ultracapitalisti dove la democrazia non esiste e il controllo spetta esclusivamente ai più ricchi, protetti da mercenari privati, serviti da robot dotati di intelligenza artificiale, e finanziati da criptovalute. Qualcuno potrebbe sottolineare l’atteggiamento contraddittorio di Trump, che è stato eletto grazie a un programma politico riassunto dallo slogan “prima gli Stati Uniti”, e ora appoggia l’idea di territori autonomi governati da sovrani miliardari. E si è parlato molto dello scontro tra Steve Bannon, l’ideologo populista e nazionalista del Make America great again (Maga), e i miliardari alleati di Trump, che Bannon ha definito “tecnofeudatari” a cui “non frega un cazzo degli esseri umani”, figuriamoci della nazione. All’interno della raffazzonata coalizione trumpiana ci sono certamente divergenze su molti temi, a cominciare dai dazi. Nonostante questo, le idee di fondo forse non sono così incompatibili come sembrano.
La congrega dei paesi startup prevede un futuro segnato da crisi, penuria e tracolli. I possedimenti privati sono quindi sostanzialmente capsule di salvataggio fortificate, progettate per permettere a pochi prescelti di sfruttare ogni possibile lusso e opportunità di ottimizzazione umana, offrendo a loro e ai loro figli un vantaggio in un futuro sempre più barba- ro. In parole povere, le persone più poten- ti del mondo si preparano alla fine del mondo che loro stesse stanno freneticamente accelerando.
È una visione del mondo non molto diversa da quella ormai diffusa della nazione fortificata, sostenuta dalla destra radicale in vari paesi, dall’Italia a Israele, dall’Australia agli Stati Uniti: in un’epoca di pericoli costanti, i movimenti suprematisti stanno cercando di trasformare dei paesi relativamente ricchi in bunker armati. Posti dove le persone indesiderate sono brutalmente espulse o incarcerate (anche a costo di confinarle a tempo indeterminato in colonie penali extranazionali, dall’isola di Manus a Guantánamo) e in cui il potere si appropria con la forza di terre e risorse (acqua, energia, minerali fondamentali) necessarie per resistere alle crisi future.
In un’epoca in cui le élite un tempo laiche della Silicon valley tutto a un tratto trovano Gesù, entrambe queste visioni del mondo – lo stato privato con accesso privilegiato e la nazione-fortezza per le masse – hanno molto in comune con l’interpretazione cristiana fondamentalista del “rapimento” biblico, in cui i fedeli ascendono al cielo in una città dorata, mentre i dannati rimangono sulla Terra per affrontare una battaglia apocalittica. Se vogliamo essere all’altezza di questo momento cruciale, dobbiamo prendere atto che siamo di fronte a un avversario nuovo: il fascismo millenarista.
Propaganda oscena
Riflettendo sulla sua infanzia durante il regime di Benito Mussolini, lo scrittore e filosofo Umberto Eco osservò in un saggio che il fascismo ha tipicamente il “complesso di Armageddon”, la fissazione di sconfiggere i nemici in una grande battaglia finale. Ma il fascismo europeo del primo novecento aveva anche la prospettiva di una futura età dell’oro successiva al bagno di sangue, che per i suoi seguaci sarebbe stata segnata dalla pace e dalla purezza. Oggi non è così.
I movimenti contemporanei di estrema destra – economicamente e ideologicamente impegnati a peggiorare le minacce legate al clima, alla corsa agli armamenti nucleari, all’aumento vertiginoso delle disuguaglianze e alla diffusione di un’intelligenza artificiale fuori controllo – non offrono nessuna speranza credibile per il futuro. All’elettore medio propongono solo vecchie ricette di un passato che non c’è più e il piacere sadico del dominio su un gruppo sempre più numeroso di “altri” disumanizzati. In questo contesto l’amministrazione Trump si impegna a diffondere un flusso continuo di propaganda oscena, generata anche dall’ia. L’account ufficiale della Casa Bianca carica su X filmati di immi- grati sui voli di rimpatrio, con un sottofondo di rumore delle manette e l’etichetta “asmr”, che indica i suoni usati per calmare il sistema nervoso. Lo stesso profilo ha condiviso con parole trionfanti – “Shalom, Mahmoud” – la notizia dell’arresto di Mahmoud Khalil, uno stu- dente con un visto permanente che aveva partecipato alle manifestazioni a favore della Palestina alla Columbia university. Ci sono poi i servizi fotografici
– tra lo chic e il sadomaso – della segretaria alla sicurezza nazio-
nale Kristi Noem, ripresa a ca-
vallo lungo il confine tra Stati
Uniti e Messico, di fronte a una
cella affollata in un carcere del Salvador o armata di mitragliatrice mentre arresta degli immigrati in Arizona.
È un fenomeno terrificante nella sua perversione, ma permette anche di imma- ginare grandi possibilità di resistenza. Scommettere contro il futuro in questo modo vuol dire tradire i nostri doveri fon- damentali verso il prossimo, verso i figli che amiamo e verso qualsiasi altra forma di vita con cui condividiamo il pianeta. È
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Ricordando gli altamurani che persero la vita nel 1799
Cronichetta delle cose più notabili avvenute a Matera dal 1799 fino a tutto il 1821, carte Repubblica Napoletana, Archivio di Stato, Napoli
Un ricordo doveroso, oggi, degli altamurani che difesero la Repubblica altamurana nel 1799: i morti accertati furono 37, come risulta dai registri di morte della chiesa della Cattedrale e della chiesa di S. Nicolò: 7 ecclesiastici, 6 civili, 3 nobili, 18 popolani, 3 donne. Ma furono molti di più.
Narra Pietro Colletta nella sua storia:
“Erano scarse le provvigioni del vivere, egli scrive, scarsissime quelle di guerra; e se la liberalità dei ricchi e la parsimonia dei cittadini davano rimedio all'una penuria, la guerra vivace, continua accresceva il peso dell'altra. – Fusero a proiettili tutti i metalli delle case, ma mancò l'arte di liquefare le campane. Ne' tiri a mitraglia, non andando a segno le pietre usarono le monete di rame, né cessò lo sparo delle artiglierie che al finire della polvere, ed allora il nemico avvicinate alle mura le batterie dei cannoni ed aperta la breccia intimò la resa a discrezione.
La quale andò negata, perciochè non altro valeva (se la natura del Cardinale non fosse in quel giorno mutata) che a serbar molte vite degli assalitori, nessuna dei cittadini; e morire questi straziati senza pericolo degli uccisori e privati dura. d'armi e di vendetta sentir la morte più «Perciò gli altamurani difendendo le brecce col ferro e con travi e con sassi uccisero molti nemici e quando videro presa la città, quanti poterono, uomini e donne, per la uscita meno guernita, fuggendo e combattendo scamparono».
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L'insegnamento è un mestiere che perde efficacia. Presto sarà uno di quegli artigianati da presepe vivente, che mostriamo ai bambini quando viene Natale: guarda, in questa grotta si cardava la lana, in quest'aula invece dividevano le parole in tronche, piane, sdrucciole.
"Insegnante" del resto, è una professione che abbiamo inventato quando ce n'era bisogno: una popolazione per lo più analfabeta che andava alfabetizzata, e pure di corsa. Istruzione pubblica, allora, gratuita e universale al pari del suffragio appena ottenuto. Servivano maestri e professori, specie negli ordini più bassi di scuola, quelli dell'obbligo, e ne servivano tanti, non c'era da andare troppo per il sottile: l'istruzione di cui avevamo bisogno era per lo più quella essenziale, leggere, scrivere, fare di conto. Col tempo il benessere (grazie a
Dio sì, ma soprattutto grazie alla scuola pubblica), prende a crescere, e cresce con costanza, per tutti. Non in maniera uniforme però. Alcune famiglie stanno decisamente meglio di altre. Alcuni ragazzi fanno compiti a casa con mamme e papà che qualcosa di come si legge, si scrive e si fa di conto ormai sanno, oppure li fanno al doposcuola, dove un insegnante privato perfeziona o ripara, e altri invece fanno i compiti da soli, cioè in pratica non li fanno. L'insegnamento a massima efficacia prevedeva che tutti gli studenti lavorassero in classe, e magari a casa rinforzassero un po' quello che avevano appreso al mattino. Presto, invece, (sono passati sì e no due decenni, durante i quali l'Italia ha vissuto un vero e proprio boom economico) le cose cambiano: alcuni ragazzi, e cominciano a essere sempre di più, possono permetter-si di differire il momento dell'apprendimento e dell'approfondimento al pomeriggio. Questi ultimi si fidano dell'insegnante di ripetizioniun po' più di quanto si fidino del maestro o del professore.
L'insegnante, dal canto suo, si adagia su questo modello: visto che in classe è difficile seguire tanti studenti, assegna molti più compiti a casa, così chi ne ha voglia e possibilità lavorerà come si deve al pomeriggio. Al mattino, si limiterà a verificare chi ha studiato e chi no.
Oltretutto, a dare ripetizioni e a fare doposcuola sono gli stessi insegnanti del mattino: con altri studenti, diversi da quelli che hanno in aula, fanno, in classi decisamente meno numerose, le stesse cose che avrebbero fatto a scuola, ma meglio, con più cura, perché pagati di più (e nero). Il modello riscuote successo, al punto che a un certo punto viene imitato da altre professioni pubbliche, per esempio i medici, che cominciano a visitare e a operare intra moenia ed extra moenia: uno dei pochi casi in cui gli insegnanti hanno davvero fatto scuola.
Da questo momento in poi(siamo più o meno tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90) l'efficacia dell'insegnamento pubblico non si limita
più a perdere: crolla come la diga del Vajont.
Nel frattempo, tra un taglio e una riforma, finché la curva del benessere sale, ci si gode il tempo delle vacche grasse: ripetizioni = voti alti, no ripetizioni = voti bassi. Chi non può s'arrangi. A un certo punto però il sistema entra in crisi dall'esterno: sì, stiamo tutti meglio, e siamo tutti decisamente meno ignoranti, il mondo però si è andato complicando a un livello tale che non bastano più i rudimenti dell'alfabetizzazione, anzi non bastano più nemmeno l'umanesimo da liceo le facoltà universitarie poco specialistiche. L'insegnamento pubblico, per essere efficace, dovrebbe fare molte più cose di quelle che faceva prima, per esempio sopperire a tutte quelle esigenze educative, non solo didattiche, che le famiglie non sono più in grado di fornire, perché entrambi i genitori lavorano molto e stanno molto fuori di casa. Il tempo che si passa a scuola non è sufficiente, per aumentarlo bisognerebbe pagare di più insegnanti, collaboratori, amministratori, personale di segreteria, e di soldi in giro non ce ne sono. Si ricorre a un palliativo, infarcire i programmi e le indicazioni nazionali, che diventano zeppi bel oltre l'orlo: cari insegnanti, fate più cose che potete, parlate di tutto ciò di cui si può parlare, istituite giornate e settimane di questo e di quello, e per il resto accennate, date spunti, sparpagliate, qualcosa resterà. Il tempo diventa il bene più prezioso, le famiglie allora dirottano le risorse che prima erano destinate al perfezionamento o al riempimento delle lacune scolastiche su beni e servizi la cui funzione
è da un lato far risparmiare tempo e dall'altro occupare con varie forme di intrattenimento il tempo che si è riusciti a risparmiare: ludoteche e baby parking, acquisto di telefoni e altri dispositivi per la fruizione di internet, abbonamenti a piattaforme streaming di serie tv e musica, cibo pronto recapitato a domicilio, voli aerei low cost, brevi vacanze, mini vacanze, micro vacanze, e soprattutto friggitrici ad aria.
All'improvviso, si affaccia al mondo chatgpt e sembra quasi che possa fare giustizia del meccanismo dei compiti a casa: assegnarli diventa di colpo inutile. E solo una fugace illusione: a usare chat gpt sono, soprattutto durante il primo ciclo di istruzione, i ragazzi che prima non facevano i compiti. Adesso li fanno con chatgpt. ragazzi che a casa sono seguiti o che hanno un insegnante privato non usanochat gpt. Soprattutto, gli insegnanti continuano ad assegnare compiti a casa proprio come se chatgpt non esistesse. Il risultato è una scuola pubbli-
ca che ha per forza di cose obiettivi didattici molto alti (questo mondo non lo affronti con le tabelline, ci vogliono il Coding e gli algoritmi), ma pochi insegnanti (la classe è troppo numerosa e troppo poco omogenea per poter essere soddisfatta da un unico insegnante), didatticamente arretrati, depauperati (leggi poco motivati) e collocati in strutture poco adatte (specie in certe zone del paese).
La perdita di efficacia dell'insegnamento la si riscontra ogni anno, con le prove Invalsi, che testimoniano un ri-
torno inesorabile verso la situazione di partenza: i ragazzi leggono testi di cui sempre meno comprendono il significato. Si chiama analfabetismo. Di ritorno. Che è il punto da cui eravamo partiti.
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PERCHÉ ORA IL SUD DÀ PIÙ FORZA AL PAESE
di Roberto Napoletano
Forse, non ve ne siete accorti, ma nel biennio 2022/2023 il Mezzogiorno italiano ha avuto la migliore crescita di prodotto interno lordo rispetto agli stessi Stati Uniti e a tutti i Grandi Paesi del G7. E abbastanza sorprendente come questo dato di fatto, di cui daremo conto in tutti i suoi risvolti analitici nei prossimi giorni, continui a sfuggire alla maggioranza degli osservatori. I quali puntualmente, di anno in anno, dal post Covid a oggi, danno conto della crescita italiana, ma si affrettano subito a prevedere che nei dodici mesi che seguiranno il Mezzogiorno si fermerà, prima addirittura si spingevano a pronosticare recessione tout court e allargamento dei divari interni. Gli ultimi dati resi noti l'altro giorno dall'Istat relativi al 2023 sanciscono che la crescita del Mezzogiorno è stata più del doppio della media nazionale e tutti gli indicatori, dalle esportazioni alla nuova occupazione, segnalano una precisa linea di tendenza che continua a consolidarsi. Se è vero, come è vero, che anche nei primi nove mesi del 2024 le esportazioni dei distretti industriali del Sud, trainate dalle performance dell'agro-alimentare e del polo farmaceutico campano, secondo i risultati del rapporto Monitor di Intesa Sanpaolo, crescono quasi tre volte di più della media nazionale che resta positiva.
In virtù di questa forza dell'export e dei ripetuti avanzi con l'estero di merci anche di turismo, l'Italia è sempre più un Paese creditore verso il mondo con la quarta migliore posizione patrimoniale netta sull'estero tra i Paesi dell' Eurozona pari a 265 a miliardi di euro, equivalente al 12% del prodotto interno lordo. Siamo sempre più un Paese creditore verso il mondo, cioè un Paese che vanta uno stock di crediti superiore al suo stock di debiti verso l'estero, come documenta da par suo Marco Fortis in altro articolo.
Chi continua a parlare di bassa competitività italiana nella manifattura come nel turismo ignora, ad esempio, che il nostro surplus non
dipende solo dall'Europa con Germania e Francia in crisi, ma da un attivo commerciale nei Paesi extra-Ue che, esclusa l'energia, e pari a 115 miliardi nonostante il rallentamento americano e grazie a un contributo delle imprese meridionali che risultano tra le più dinamiche. Per capirci, questi 115 miliardi che, computando il costo dell'energia, diventano 65 sono soldi veri che finiscono nel salvadanaio dell'Italia e permettono, insieme ad altre voci, di fare crescere la posizione finanziaria, netta positiva da 150 a 265 miliardi. La dimensione epocale del cambiamento in atto è misurata dal fatto che non solo la nostra posizione finanziaria netta è la migliore dei Paesi euro-mediterranei e si confronta con performance negative di Francia e Spagna rispettivamente per 716 e 768
miliardi, ma ha scalato in dieci anni ben 14 posizioni in classifica collocandosi alle spalle di Germania, Paesi Bassi e Belgio e facendo così dell'Italia una creditrice verso il mondo come i Paesi cosiddetti "frugali".
Sarebbe ora che le agenzie di rating prendessero atto della nuova realtà italiana che è quella di un'economia solida, sostenuta da una forte reputazione internazionale sempre più anche politica, e che garantisce ampiamente la sostenibilità del suo debito pubblico. Sarebbe bene che, nel dibattito di casa nostra, aumentasse la consapevolezza che c'è molto di Mezzogiorno in questo cambio di passo perché è l'unica frontiera di sviluppo reale possibile per Europa e Italia. A gennaio di quest'anno torna ad aumentare il clima di fiducia di imprese e consumatori italiani. Anche qui il Mezzogiorno fa la sua parte.
Ricordiamocelo.
Il Mattino 30.1.2025
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IO PROTESTO
Di seguito il resoconto stenografico dell'intervento di Giacomo Matteotti tenuto alla Camera il 30 maggio 1924 in cui contestava i risultati elettorali delle elezioni tenutesi il 6 aprile dello stesso anno e le irregoralità commesse dai fascisti per vincere le elezioni.
Un vero inno alla libertà a 100 anni dall'uccisione dell' esponente socialista avvenuta il 10 giugno 1924 per mano di cinque sicari guidati da un certo Amerigo Dumini.
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La riforma del fisco secondo Matteotti
Rigore e giustizia contro i populisti
di Francesco Tundo
Si può ancora parlare di tasse con serietà e competenza, senza cedere alla tentazione di farne un tema da perenne campagna elettorale? Un po' a sorpresa, la risposta viene dall'aspetto meno noto del pensiero di Giacomo Matteotti.
Di Matteotti, a cento anni dal rapimento e dal brutale assassinio per mano fascista, si sa quasi tutto. Delle lotte per i braccianti del suo Polesine. Del coraggio nel denunciare le violenze inaudite dello squadrismo in camicia nera. Della grande competenza, alimentata da uno studio incessante. Della precisione tagliente nei dibattiti alla Camera. Dell'audacia nell'irridere le sparate propagandistiche del dittatore. Della fiducia incrollabile nei principi dello Stato di diritto e nei fondamenti della democrazia parlamentare. Sostanzialmente sconosciuta è, invece, la dedizione di Matteotti alla questione tributaria, che pure è stata centrale nella sua azione politica, basata sulla funzione redistribu tiva dell'imposizione a fini di giustizia sociale. Sono in pochi a saperlo, eppure Matteotti si è dedicato intensamente a una materia che anche al suo tempo era oggetto di iniziative demagogiche e frammentarie, alle quali lui ha contrapposto proposte rigorose e moderne.
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L'eroica resistenza degli altamurani al cardinale Ruffo
di Giuseppe Dambrosio
Il 10 maggio 1799 si concludeva l'esperienza della Repubblica altamurana iniziata il 1 gennaio dello stesso anno che aveva coinvolto una intera città di ben 17.000 abitanti. Tutte le classi sociali avevano dato il loro contributo alla costruzione di un modello di governo cittadino che si ispirava agli ideali della rivoluzione francese: la piccola borghesia molto attiva, i bracciali (i braccianti attuali) che versavano in condizioni di vita dignitose, il ceto medio (massari, bonatenenti, professionisti), la nobiltà altamurana non assenteista e dedita al commercio di cereali che prendevano la via di Napoli, il clero che si era schierato per la Repubblica. Altrettanto determinante fu l'entusiasmo degli studenti della fiorente Università degli Studi che, insieme ai loro docenti, di formazione laica, si sono battuti per un' Altamura libera e repubblicana.
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I titolari del Grande Torino erano tutti molto dotali tecnicamente. Il portieriere Bacigalupo era genovese e studiava medicina. Non si allontanava apposta dalla traiettoria della palla per compiere balzi più vistosi: era di stile sobrio e misurato: parava Il parabile, come
usano i grandi portieri. Ballacin terzino destro, era chioggiottostilisticamente splendido, era capace di anticipi imperiosi, di entrate in tackle piene di grinta, di respinte al volo tempestive ed energiche. Il terzino sinistro era Saroso, uno dei prodosti più clas-
sici del calcio italiano in as
so luto. La longilineità confe-
rivaeleganciadognisunge-
sto aponbticn, il tocco di pal-
la era morbido, la precisio-
ne somma. cod l'intuito
creativo e pertino 1l sen.50
del gol. Stopper era
bee-scino Rigamonti. Anche
hai studiava medicina. Ave-
va muscolatura possente,
quasi ipertrofica, staccava
con prepotenza per colpire
di testa anticinava e incon-
rava con la grinta di un ma-
stino. in centrocampo nasceva l gioco. I due mediani erano il vercellese Castigliano e il triestino Grecar. Il primo era di struttura potente
e sapeva battere a rete da
fuori area con tiri 940315881-
ti. Il secondo era più conte
nuto ed elegante nel porge
re, quasi semper in appug-
gio a quel grande patrundel
campo che era Valentino
I titolari
di quella squadra
erano tutti molto dotati
tecnicamente
Mazzola. Quando Ciotiglia-
no avanaira per conclale-
re, solitamente era Loikaco-
prire il suo spazio. Con Va-
lentino non servivano pre
cauzioni di sorta. L'omarino
cuntend diceva allasuastrut-
tura con prestazioni e alteg-
prementi da autentico gigan-
te del nostro sport. Scattava
come gli consentivano le lar-
che sezioni del suoi muscoll
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rurali, reggeva ala fatica
da fondista puro: Usava
due piedi ed inventava gio-
co con inesauribile fantasia:
quando eraneesucio, sipo-
va elevarsi a match winner
con mirabili acrobacie, salti
mortali all'indietro e tiri a
volo em bicycleta, come di-
cono con bella metafora
bradineti. Il contrimnti era
Gabetto, prodotto juventi-
no. Chiuso in Juventus da Fe-
licino Bocel, Gabetto era
emigrato in partibus indide-
lium, arricchendo il doco to-
rinista dei suoi estri balzani,
le sue acrobecie a filo d'er-
ba, i ghiribizzi, le continue
trovate a sorpresa. Lolk era
un cursore lento e costante,
un ruminatore di caldo e di
chiloenetri, spella ideale per
Miccoola, cui spettava l'alts-
ma rifinitura se non, cute
spesso accadeva, anche la
conclusione. Infine le alt a
destra Berto Menti, vicenti-
no, a sinistra Choola, lombar-
dodi Varese. Menti i evala
dinamite nel destro:
ogni
apertura verso di lui creava
occasioni per bordate assas-
sine. Ossola era più giocolle-
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se di si addicevano il con-
trollo, il dribbling, il ricamo
elegante: e sgusciava in area
come un'anguilla, ma più
speso amava servire i com-
pugni più abili di lui nel tira-
re. Osiola aveva preso il po-
sto di un vecchio dio degli
stadi a nome Ferraris I1, ver-
cellese. Aveva facto in tem-
po a vestire la maglia accour-
sa, una volta avvenuta la fu-
ga di Orsi, ma Puzzo lo ave-
La notizia gettò
nello sconforto la
gentile città di Torino
e con essa tutta l'Italia
vasocicuito con Colassi do-
po la magra iniciale con la
Norvegia, all'avvio dei Son-
dial 1938. Nel Torino, Fer-
raris 11 spese le ultime e fu la
sua fortuna, perché ritiran-
dosi dell'agoniano salvo la
vita. Perirono invece Culti i
citolari in maglia granata e
con essi i giovani Bongiomi,
nazionale francese, Martel-
, bresciano, e Fadini, milla
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nese di grandi speranze. Ildi-
subironerto di Superga cott-
mode il mondo intero. Ebbe
luogo il 4 maggio 1949. Fu
un temibile urto control ba-
amento della Basilica di Su-
perga. L'aereo con a bordo il
Torino rimirava da Lisbo-
na, dove averaperduc.osen-
2a drammi un amichevole
con il Benfica. L'atterraggio
doveva aver luogo a Mila-
no. Per la smania di rientra•
re, all'ultimo istante il pilo-
ta devid VEZSO Torino. Lo
schianto fu orribile, Linto
che i poveri corpi ne venne-
ro tutti sconciati. Con i soci-
nisti perirono Erbstein, Li-
vesley e tre giamalti di fa-
ma culi Cibalbore, Caval-
Jero e Tosati. Lanoticia get-
1o nello sconforto la gentile
città di Torino e con essa tut-
ta l'Italia. Con il grande Tori-
no 2 calcio nazionale per-
Sette una decina di elemen-
ti detici di classe interaccio-
nale certa. Il tragico evento
sarebbe costato al nostro
sport un ritardo di almeno
20 mani nei confronci deali
altri paesi protagonisti del
calcio mondiale. -
"per cannokoe
dell'ArchivioSleedaderl
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