Da Scotellaro a Verga
- Categoria: Tommaso Fiore
PROBLEMI DI VITA E DI ARTE
Da Scotellaro a Verga
di Tommaso Fiore
A giudizio di Cario Levi, la nota «lettera al figlio» della madre di Scotellaro è un'alta espressione artistica di cultura contadina. Non c'è poi chi non avverta, nel compianto materno per la morte dei giovine poeta, la freschezza lirica del canto raggiunta in quelle parole: «Ricorderò sempre i giorni della settimana. Il lunedì dico: tanti giorni oggi mio figlio era a Portici. Martedì era vivo, cantava, rideva. Guardo l'orologio: Alle otto e mezza morì. Mercoledì ricordo: venne in casa nella bara morto, il giovedì andammo al cimitero a seppellirlo. Il venerdì ricordo: tanti giorni fa, mio figlio era a cena in casa mia con il dottor Rossi Doria e i compagni per l'ultima cena che fece in casa. Il sabato - ricordo - partì per Napoli. La domenica era sulla terrazza del dottor Rossi Doria, che gli fece l'ultima fotografia che a guardarla mi sento morire, come stava con le mani incrociate tra le gambe; poteva dire: sarà l'ultima volta che sto in questa terrazza. E poteva dire: mi sento male, mi vedo senza mia madre. E così di seguito, finisce una settimana e comincia l'altra; e sempre con le stesse cose. Pazza posso andare ma non posso fargli niente: solo versare lacrime, che divento cieca. E dico: ecco dove sono andati a finire i miei sacrifizi, quelli del padre, e tanto suo lavoro: sono tutti sotterrati in un fosso, e non lo vedrò mai più, («Contadini ni del Sud», Laterza, 1954).
L'elenco degli Internati Militari Altamurani
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Internati militari Italiani, la Resistenza senz’armi
a cura di Giuseppe Dambrosio
In occasione della giornata della memoria, a 80 anni dalla liberazione di Auschwitz, è doveroso ricordare centinaia di altamurani che finirono nei lager o prestarono la loro opera in fabbriche o in attività agricole ricevendo una paga da fame. Alcuni morirono di stenti, di fame, di malattia, altri resistettero a tutte le angherie e ai maltrattamenti. Dietro ogni nome c’è una storia che non può essere dimenticata. Di seguito l’elenco pressochè esaustivo frutto di un lungo lavoro di ricerca.
Lo status degli Italienische Militär-Internierte (IMI) fu creato da Hitler e fu accettato passivamente dalla repubblica sociale italiana (Rsi). Gli oltre 600mila militari deportati nei lager nazisti che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rifiutano di continuare a combattere con la Germania nazista o aderire alla Repubblica sociale italiana, «preferendo la dura vita di prigionia a quella del disonore».
Per troppo tempo, infatti, non è stato adeguatamente compreso il peso nella storia più generale della guerra di Liberazione. Dal 2008 la loro scelta è vista come «l’altra Resistenza», «la Resistenza senz’armi».
Le cifre disponibili ci dicono che all’indomani dell’armistizio i tedeschi disarmano in poco tempo circa un milione (1.007.000) di militari italiani. Di questi circa 197.000 scampano alla deportazione perché si danno alla fuga, mentre i rimanenti 810.000 circa (59.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani) vengono messi di fronte alla scelta tra adesione e prigionia nei lager in Germania e nei territori occupati (Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Francia, Ucraina e Bielorussia). Alcune migliaia perdono la vita nel trasferimento presso i campi di concentramento. Altre decine di migliaia vengono catturati all’estero, dopo essere entrati in clandestinità (spesso dando una mano ai gruppi del luogo che organizzavano la resistenza ai nazisti) e costretti a prestare lavoro coatto in Jugoslavia, Albania, Grecia, Bulgaria, Ungheria e Romania dove trascorrono la loro prigionia sotto il controllo tedesco o dei propri alleati locali.
Entro la primavera del 1944 circa 197.000 uomini si dichiarano fedeli alla Rsi (repubblica sociale italiana) o ai tedeschi sul campo o quando arrivano nei lager.
Fino all’estate del 1944 i circa 350 lager dove sono rinchiusi ufficiali, sottoufficiali e soldati destinati al lavoro coatto dipendono dalla Wermacht, in seguito, dopo l’attentato ad Hitler del 20 luglio dello stesso anno, la gestione passa in mano alle SS, molto più feroci e crudeli. L’arrivo prevede il passaggio in 25 campi di smistamento Durkhgangslager (Dulag). Da qui i sottoufficiali e uomini di truppa vengono internati negli Stammlager (Stalag) da cui dipendono 2.000 distaccamenti secondari detti Arbeitskommando (AK) dove si veniva avviati al lavoro coatto. I circa 30.000 ufficiali vengono concentrati in blocchi separati degli Stalag e in una ventina di Offizierslager (Oflag). Durante la prigionia, inoltre, diversi IMI per diversi motivi finiscono anche nei campi di punizione (Straflager) che spesso dipendono dai campi di eliminazione.
In totale, quindi, un numero compreso tra 600 e 650.000 militari (considerando anche i militari italiani trattenuti nei Balcani) rifiuta di continuare a combattere per il nazismo e il fascismo e resta nei campi di prigionia e di lavoro coatto con la qualifica di IMI, sconosciuta alle convenzioni internazionali. 6000 di loro morirono subito nell'affondamento delle navi che li portavano nei lager. Alla fine della guerra gli IMI deceduti nei lager per fame malattia, sfinimento, bombardamenti, torture, violenze, stragi, eccidi compiuti dai dai tedeschi saranno circa 45 mila.
Il passaggio forzato allo status di lavoratori civili nel settembre 1944 ha solo in parte contribuito a migliorarne le condizioni di vita e lavoro, presto destinate a riaggravarsi nel corso dell’ultimo inverno di guerra, nel graduale sfacelo economico e militare della Germania nazista.
Si includono tra gli IMI anche i militari italiani fatti prigionieri dai sovietici nella seconda guerra mondiale, recenti lavori di ricerca ne hanno ricostuito le vicende.
Diverse centinaia di altamurani finirono nei lager o prestarono la loro opera in fabbriche o in attività agricole ricevendo una paga da fame. Alcuni morirono di stenti, di fame, di malattia, altri resistettero a tutte le angherie e ai maltrattamenti. Dietro ogni nome c’è una storia che è doveroso ricordare.
Nome |
Cognome |
Data di nascita
|
Luogo di nascita |
Tipo di occupazione |
Data di Entrata Cattura |
Data di Uscita Rientro |
Numero di matricola e campo |
Abbrescia |
Nicola |
17.6.1920 |
Altamura |
17.11.45 |
Stam. 58/2 |
||
Adorante |
Vito |
26.26.1923 |
Altamura |
22.7.45 |
159480 XI B |
||
Acquaviva |
Antonio |
1.4. 1910 |
Altamura |
10.9.43 |
Stalag I IV B IV D |
||
Acquaviva |
Giuseppe |
2.5.1921 |
Altamura |
4.10.45 |
66726 Algeri |
Così la subcultura della globalizzazione ha creato la fabbrica dell'ignoranza
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IL COLLASSO DEL SAPERE IN ITALIA E NELL’OCCIDENTE
di Raffaele Simone*
Allora oggi è il 12 dicembre...»: qualche giorno una mia amica milanese ha pronunciato questa frase quasi tra sé e sé, trovandosi nei pressi di un tizio sui 45anni. Vedendo perplesso il suo vicino, ha spiegato discreta: «Piazza Fontana. Oggi è l’anniversario». Quando ha visto che quel tale aveva lo sguardo vuoto tipico di chi non ha idea di che cosa si stia parlando, ha lasciato cadere il discorso. Se avesse ripetuto quelle battute a mo’ di test con altre persone, anche istruite, di certo avrebbe ottenuto per lo più la stessa reazione. Senza saperlo, la mia amica stava convalidando le conclusioni di quella sezione del “Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese” (58esimo della serie) che concerne ciò che gli italiani sanno o non sanno. Il paragrafo che ci interessa si intitola crudamente “La fabbrica degli ignoranti” e rivela cose come le seguenti. Il 55,2 per cento degli intervistati ignora che Mussolini fu destituito e arrestato nel 1943; il 30,3 per cento non ha idea di chi fosse Mazzini; il 30,3 per cento non conosce l’anno dell’Unità d’Italia. Quasi la metà degli intervistati non sa indicare l’anno di inizio della Rivoluzione Francese; il 41,1 per cento crede che l’autore dell’Infinito sia D’Annunzio; il 35,1 non esclude che Eugenio Montale sia stato un presidente del Consiglio; per il 35,9 l’autore dell’Inno di Mameli è Verdi e per il 32,4 la Cappella Sistina potrebbe anche essere opera di Leonardo da Vinci o di Giotto. Inutile poi chiedere informazioni geografiche. Un quarto degli italiani ignorano che Oslo è la capitale della Norvegia e un numero ancora maggiore che Potenza è il capoluogo della Basilicata.
Nell’età della guerra e della politica impotente Francesco è simbolo di decadenza e speranza
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L' ANNO SANTO
di Rino Formica*
Il pontefice, non da oggi, sceglie di enfatizzare e sfruttare la sua fragilità per indicare il declino delle condizioni del mondo “al di qua”. Un messaggio potente anche per i laici. Ci dice che le forze statuali e politiche non sono in grado di fermare la nuova era dei conflitti. Nel tradizionale rito dell’apertura della porta santa della basilica di San Pietro, e con essa l’apertura dell’anno santo, papa Francesco non ha spinto la porta per aprirla, ha bussato. Nello primo Giubileo in tempi di guerra, anzi nel Giubileo che si celebra in quella che ormai possiamo con desolazione definire la nuova età della guerra, quel suo bussare dice qualcosa di peculiare. Per entrare nell’anno santo, non vi è dunque una forza che autonomamente e autorevolmente è in condizioni di aprire la porta.
La bimba venuta dal mare, ma un miracolo non basta a cancellare la vergogna
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La bimba venuta dal mare, ma un miracolo non basta a cancellare la vergogna
di Melania Mazzucco
Di Alan Kurdi, il minuscolo Joseph, la siriana Loujin, le nigeriane Marian e Osato, i bambini morti d’acqua e di sete nel Mediterraneo, ricordiamo ancora il nome (tanti altri, rimasti anonimi, sono meri numeri nell’aritmetica dello scandalo, che somma almeno trentamila morti negli ultimi dieci anni). Le immagini dei loro corpi esanimi (o dei loro funerali) sono diventati il simbolo della nostra vergogna. Il dolore e lo sdegno suscitati dalla loro fine, autentici benché inquinati dall’ipocrisia, sono invece svaniti. Yasmine però è stata salvata dalle acque: come Mosé, si potrebbe dire, per augurarle un destino da guida del suo popolo, da profeta e da legislatrice. Ma il passivo non è la giusta configurazione del verbo. Yasmine si è salvata. Riflessivo. La grammatica ci insegna che c’è differenza. Il soggetto compie un’azione che ritorna su sé stesso. Yasmine non è un corpo, né un numero, né una salma: è un soggetto, e il soggetto di questa storia.
Ricordando DANILO DOLCI
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Il Circolo delle Formiche, insieme al Centro Creativo Danilo Dolci, l‘Associazione Link, Cometa - Comunità educante di Altamura, LiberHub Giampiero Zaccaria, Agorateca Biblioteca di Comunità, Con i Bambini e il patrocinio del Comune di Altamura, della Regione Puglia e della Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpi” di Bari, organizza una serie di eventi in occasione del Centenario della nascita di Danilo Dolci (1924 -2024).
GOGNA ROSSA
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GOGNA ROSSA
Doversi dimettere per aver scritto che una donna con il pene non è una donna. Succede a Livorno. La versione di Simone Lenzi
di Simone Lenzi
Puppies Puppies (Jade Guanaro Kuriki – Olivo), Hannah Hofman in Gallery, Los Angeles
Ho ritrovato in un cassetto la mia spilletta da ragazzo: "The Age of Consent". L'età del consenso. Era quella dei diritti gay, cantati dai Bronski Beat. Perché ero un giovinetto libertario e sperimentale, tutto sommato l'analogo di quelli che adesso vanno in giro col capelli blu. Poi, certo, sono invecchiato, e col capelli blu a cinquantasei anni non mici vedo, ma continuo voler bene a chi sperimenta, a chi gode pienamente di tutto, nella piena liberta del corpo e dello spirito. La libertà, appunto. Guardo quella spilletta e penso che sono passati davvero troppi anni. E nel frattempo sono successe troppe cose. Intanto, nel frattempo, il progressismo è morto e sepolto, motivo per cui, se oggi sei un progressista e ti aggiri in un palazzo comunale amministrato dal centrosinistra, allora e probabile che tu sia uno zombie. Perché l'idea stessa che esistano principi universalistici in nome dei quali portare avanti battaglie che servano a tutti è morta e sepolta. Sono, in altre parole, uno di quegli zombie che pensa ancora che sia più importante pesarti il portafoglio prima di frugarti nelle mutande, nel senso che se poi non trovi un lavoro o paghi troppe tasse, l'unica cosa davvero fluida che puoi esprimere, alla fine della giostra, è una minestrina col dado.
La grande masseria del potere, viaggio nella Puglia gentrificata
- Categoria: Blog
Reportage con testimonianze inattendibili
di Angelo Pannofino
La
La delegazione delle first lady dei capi di stato e di governo del G7 in visita ad Alberobello
durante l'ultimo summit, lo scorso luglio - FOTO ANSA
È con molta curiosità che questa estate sono tornato in Puglia per vedere cosa è rimasto sul bagnasciuga dopo la mareggiata del G7 in Valle d’Itria, valle in cui sono nato e cresciuto e dove, stando ai media, si sarebbe svolto il summit con i capi di stato e di governo dei sette Paesi più industrializzati al mondo, sei dei quali sono tornati a casa a capo chino, avendo constatato che saranno pure industrializzati ma, quanto a instagrammabilità, non c’è storia tra i loro tristi Paesi e le meraviglie della Valle d’Itria, la Shengri-Le pugliese, vallata immaginaria ferma agli anni Cinquanta, dove ci sono mozzarelle, masserie, friselle, focacce, ceramiche, artigiani, donne col fazzoletto in testa che fanno le orecchiette, trulli, luminarie, ulivi, pizzica o forse taranta e addirittura il mare.