Il contributo del Mezzogiorno alla guerra di liberazione non fu limitato alle rivolte popolari. Migliaia furono i meridionali che militarono nelle formazioni partigiane sulle Alpi e sugli Appennini. Lo storico piemontese Augusto Monti arrivò ad affermare che "le formazioni partigiane che, militarmente organizzate, agirono contro i tedeschi ei loro alleati, sui monti che fan ghirlanda alla pianura del Po (...) furono almeno per un quarto per cento costituite di ' uomini del Mezzogiorno '".
Una storia definitiva della Resistenza nel Mezzogiorno non è mai stata scritta. Di tutto quello che avvenne nel 1943 sotto la linea di Montecassino, si ricordano soltanto le quattro eroiche giornate di Napoli della fine di settembre. Ma come si caratterizzò la Resistenza nel Sud?
La lotta contro i tedeschi, e poi contro i gerarchi fascisti, si coniugò alle aspirazioni di cambiamento dell'assetto della proprietà e di una redifinizione del rapporto con lo stato, espressione degli interessi del potere agricolo.
Nel '43 il contesto sociale ed economico del Mezzogiorno era profondamente mutato rispetto agli anni del grande consenso al regime. La fame, il freddo, i bombardamenti e le ristrettezze economiche, avevano distrutto la credibilità del fascismo. I meridionali erano stanchi della guerra e desideravano ardentemente la pace. E così il 25 luglio, giorno dell'arresto di Mussolini, espressero in modo deciso il distacco dalla dittatura, con numerose manifestazioni di giubilo. I primi episodi di "Resistenza" si erano registrati nel '42, nelle campagne della Calabria , del Cilento , della Lucania e del foggiano . Si tratta di movimenti che assunsero maggiore consistenza dopo lo sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943), e che ebbero un carattere prevalente di lotta sociale, anche se non mancarono i contadini che attaccarono i tedeschi in ritirata, recuperando le armi lasciate sul campo dall'esercito italiano.
Con la caduta del fascismo, la rivolta interessò anche i centri urbani. La lotta contro i tedeschi esplose ancor prima dell'armistizio, il 2 agosto del '43, in Sicilia, a Mascalucia, un comune a dieci chilometri da Catania. Ad accendere la miccia fu l'ennesimo tentativo di furto di cavalli e di razzia compiuto da due soldati della Wehrmacht, che provocò prima uno scontro con i soldati italiani, poi un'autentica rivolta popolare armata contro i nazisti, alla quale presero parte decine e decine di cittadini e militari, con perdite da entrambe le parti. Per spegnere il fuoco della ribellione, fu necessaria la mediazione del comando dei carabinieri.
Nei giorni successivi all'8 settembre del '43, data dell'annuncio dell'armistizio con gli Alleati, in numerose città e in vari presidi militari si sono registrati atti di resistenza ai tedeschi, spesso frutto dell'inedita collaborazione tra soldati, carabinieri e popolazione civile. Le cronache parlano di combattimenti, a Ischia, a Napoli, a Benevento, a Nola, dove per rappresaglia i tedeschi fucilarono dieci ufficiali italiani. Nel salernitano, a Cava de 'Tirreni , la popolazione collaborò attivamente con gli Alleati.
I casi di eccidi di civili o di militari da parte dei tedeschi furono assai numerosi, in ogni parte del Sud. Il primo eccidio si verificò il 12 agosto del '43 a Castiglione di Sicilia, dove i nazisti in ritirata massacrarono sedici persone e ne ferirono venti. A differenza che per le stragi tedesche nel centro-nord, nel Mezzogiorno vi è stato un generale processo di rimozione della memoria di questi episodi criminali. Quello che è accaduto per il massacro di Caiazzo nel casertano è emblematico, in quell'autunno tragico (settembre-dicembre '43) le vittime civili raggiunsero le 2023 unità, pari al 5,5 per cento di quelle di tutt'Italia nello stesso periodo.
Fu questo il caso anche delle quattro giornate di Napoli, che iniziarono il 27-28 settembre come reazione ai rastrellamenti operati dalle SS (con l'internamento di 18.000 uomini) e all'ordine di sgomberare tutta l'area occidentale cittadina. Ma la rivolta partenopea, che costò la vita a 562 napoletani, non deve essere considerata come un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di veri e propri momenti insurrezionali aventi carattere popolare: impugnarono le armi contro i tedeschi gli abitanti di Matera (21 settembre), di Teramo (25-28 settembre), di Ascoli Satriano (26 settembre), di Nola (26-29 settembre), di Scafati (28 settembre), di Serra Capriola (1°ottobre), di Acerra (1°ottobre), di Santa Maria Capua Vetere (5-6 ottobre), di Lanciano (5 ottobre). A Maschito, un piccolo paese in provincia di Potenza, l'11 settembre la popolazione si ribellò contro i gerarchi fascisti e fu proclamata in una "repubblica" che durò circa un mese. A Irsina , verso la fine del settembre del 1943, la popolazione insorse e lapidò il podestà accusato di collaborazionismo e di accaparramento.
Molti sono i pugliesi fucilati durante la lotta resistenziale. La Puglia, subito dopo la Sicilia, è la regione del Sud con il maggior numero di partigiani caduti in combattimento, fucilati e deportati. Gli aderenti alla lotta di liberazione, originari della provincia di Bari furono 505 (il numero più alto tra le province meridionali), subito dopo ritroviamo Foggia con 338, Brindisi con 146, Lecce con 134 e infine Taranto con 111.
Dall '8 settembre e sino a metà di ottobre del 1943, la Puglia è interessata dalle operazioni della Wermacht a seguito dell'armistizio dell'8 settembre 1943, i tedeschi intendono rafforzare la presenza nell'Italia centro-meridionale e contrastare un eventuale sbarco degli anglo-americani. L'obiettivo dei nazisti era quello dei distruggere le infrastrutture (porti, ponti, ferrovie, strade) ma deliberatamente colpiscono, con violenza inaudita, anche militari e civili.
Complessivamente 110 sono i morti nelle province di Foggia , Bari e Taranto : a Taurisano il 5 gennaio protestarono contro il podestà fascista, ci furono scontri nei quali perse la vita un contadino. A Bari il 28 luglio i carabinieri spararono su un corteo di circa duecento persone che stava raggiungendo i detenuti politici appena liberati nei pressi della sede della Federazione fascista, provocando un vero eccidio tra i quali perse la vita il figlio di Tommaso Fiore Graziano. Si contantarono venti morti e trentotto feriti. A Barletta, tra il 10 e il 12 settembre, si scatenò una battaglia cruenta per la difesa della città: i soldati del presidio militare, guidati dal colonnello Grasso, resistettero per due giorni agli attacchi, con l'aiuto di molti civili.
Diversi civili dell'Alta Murgia vengono uccisi. A Spinazzola "Murgetta Rossi", 22 soldati sono fucilati e abbandonati sul terreno e nel novembre 1943 vi fu una manifestazione pubblica contro la designazione di un certo Martinelli, un commissario prefettizio ex fascista, ammassatore di grano. A Minervino Murge nel settembre, durante la ritirata, i tedeschi guidati da Hintermann catturarono e fucilarono 21 soldati italiani che facevano ritorno a casa nella zona Canalone, tra Minervino e Spinazzola, e fu evitata una rappresaglia per la strenua difesa dei cittadini che si preparavano per la resistenza.
Come risulta dall '"Atlante delle Stragi naziste e fasciste", ad Altamura , durante la prima fase dell'occupazione nazista in Italia, 10 cittadini vennero uccisi dai tedeschi con le mine o mediante fucilazione. Da documenti inviati dal sindaco di Altamura al Prefetto in data 26 giugno 1946 con oggetto “Esposizione crimini di guerra”, risultano i seguenti nomi: Busalin Giovanni, Danna Mario, Raggiopane Giovanni, Salari Dino e Vulcani Tullio, Campagna Pietro, Zucca Giuseppe. Campagna Pietro a cui si aggiunge quello di Cannito Antonio (un ragazzo di 16 anni) fucilato dai nazisti perché si era rifiutato di prestare la sua opera per aiutare gli ex alleati nei lavori di fortificazione.
A Bari, dopo l'8 settembre 1943, e prima della Liberazione, rinacque la libertà di stampa.
Tra il 1943 e il 1945 molte erano le testate di giornali che venivano stampate nel capoluogo pugliese: L'Italia del Popolo, settimanale del partito d’Azione, Civiltà proletaria, il settimanale del Partito comunista di Bari, La Gazzetta del Mezzogiorno, L'Avanti, organo del partito socialista (edizione di Bari), Il Popolo, L'Idea liberale, Il Nuovo Risorgimento, settimanale storico-politico diretto da Vittore Fiore, Puglia Socialista, settimanale della Federazione Provinciale Socialista di Terra di Bari.
E fu soprattutto dopo il congresso dei Comitati di liberazione nazionale (CLN), celebratosi nel gennaio del 1944 al teatro Piccinni, che Bari si ritrovò ad essere capitale e laboratorio non solo della ritrovata stampa libera ma anche del rinnovato dibattito politico dal quale sarebbe poi nata l'Italia Repubblicana.
Fondamentale fu il ruolo di Radio Bari che nei giorni della Resistenza fu la prima "radio libera d'Europa" che sperava nuovamente nella libertà. Da questo momento la radio divenne un punto d'incontro degli intellettuali (da Tommaso Fiore a Giovanni Gentile, da Michele Cifarelli a Arnoldo Foà guidati da Benedetto Croce e Giovanni Laterza) e punto di riferimento per i partigiani che la difesero dagli attacchi dei tedeschi giunti in città.
Da uno studio dell'Istoreto (Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea) risulta importante l'apporto delle regioni meridionali al movimento di resistenza nel Nord-Ovest dell'Italia. La Puglia, infatti, fu presente con circa 1300 partigiani nell'area piemontese (circa 500 della sola provincia di Bari); come testimonianza uno studio accurato dell'IPSAIC, questo movimento dettero un significativo apporto diverse donne: operaie, impiegate, artigiane, casalinghe originarie di Latiano, Cerignola, San Severo, Santeramo, Canosa e soprattutto Corato, appartenenti a famiglie di emigrati pugliesi a Torino nel corso dei primi decenni del Novecento. Originari di Corato erano le sorelle di Palma: Arcangela, Antonietta e Luisa (nomi di battaglia Emily, Nuccia e Primula) che collaborarono con la «3 divisione Alpi Servizio X».
Esemplificative e pregnanti sono le considerazioni di Rita Majerotti sulla “Civiltà proletaria”, il settimanale del Partito comunista edito a Bari l'11 marzo 1945: «Le donne baresi vogliono partecipare risolutamente alla ricostruzione del loro Paese. È la prima volta che in Italia si festeggia la giornata internazionale della donna perché purtroppo, finora, la reazione nazifascista ha impedito qualsiasi libera manifestazione dello spirito nuovo che anima le donne. Esse vogliono assolutamente, e sapranno ottenerlo, impedire che i nuovi flagelli devastino l'umanità e che con nuovi metodi educativi, ed entrando risolutamente nella vita politica, accanto ai loro compagni di lavoro e di lotta, sapranno fare in modo che non si incateni ancora la gioventù alla legge della giungla». La partecipazione delle donne alla Resistenza è stata dunque il fondamento per la successiva conquista dei diritti civili, sociali e politici.
Michele Cornacchia nasce ad Altamura l’11 settembre 1919 da Nicola, coltivatore e impegnato nel partito di Pasquale Caso e da Vittoria Melodia. Frequenta la scuola elementare IV Novembre. Il 20 marzo 1940 è chiamato alle armi nella 64ª Compagnia Genio Artieri, destinazione Torino I° Genio. Dopo il giuramento, parte per il fronte francese come soldato semplice e in seguito per quello jugoslavo. Il 10 aprile la sua compagnia fu aggregata alla Divisione Assietta. Fu trasferito sul confine francese a Claviere ai piedi dello Chaberton.
Il 10 giugno 1940, dopo uno scontro con l'esercito francese, varcò il confine francese. Rientrato in Italia, si fermò a Villa Nevoso, dove trascorse un periodo di quarantena e nel 1942 partì per la Sicilia. L’armistizio dell’8 settembre lo sorprese in Piemonte e, sostenuto dal suo capitano Giacalone, fu tra i primi ad aderire al movimento partigiano come comandante di distaccamento del 12 brigata Bra, divisione Amendola, capeggiata dal colonnello Gancia, dal capitano Della Rocca e dal maggiore Neri. Il suo nome di battaglia era Nino. Gli eventi si svolgono nel cuneese a Fossano, Alba, Bra, Bene Vagenna, Carrù, Piozzo, Cherasco, Lequio, Narzole, Monchiero, Sommariva del Bosco, Clavesana, Mondovì. La sua base era situata a Costamagna e il comando era a Narzole. In un suo diario narra episodi che riguardano azioni di rappresaglia contro fascisti e nazisti che requisivano il raccolto e il bestiame, attentati a strutture (ponti, stazioni) azioni volte ad appropriarsi di armi e munizioni. Il 23 aprile 1945 tutte le formazioni partigiane piemontesi, compresa quella guidata da Nino, si diedero appuntamento a Torino dove combatterono per due giorni casa per casa. Il 10 luglio 1945 fece ritorno in Puglia.
Dopo la guerra Michele Cornacchia è attivista del P.C.I. e membro del direttivo stampa e propaganda. Nel 1949 viene arrestato per affissione di manifesti e per l’occupazione delle terre in contrada San Giovanni. Dopo la scissione del P.C.I. ha aderito a Rifondazione Comunista.
Paolo Casanova era nato ad Altamura il 14 novembre 1923. Aveva frequentato la scuola elementare dell’obbligo “IV Novembre”. Raggiunto il diploma, intraprese l’attività di fornaio nel forno di San Domenico gestito dal padre. Amava molto la lettura. Nei ritagli di tempo libero, divorava libri di ogni genere e specialmente religiosi. La sua famiglia professava la religione evangelica. A quindici anni frequentò il corso di marconista presso la G.I.L. di Altamura. Nel marzo del 1943 viene chiamato alle armi con destinazione Verona presso la caserma “Lamarmora” nel primo battaglione Bersaglieri dell’armata “Ariete”. In questa città incontrò molti altamurani coi quali condivise un pezzo della sua storia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre iniziò la sua avventura prendendo contatto con il comando partigiano della Brigata “Verona” 1943, sollecitato dalla sua fidanzata Gianna, sorella di un partigiano.
Il 12 settembre 1944, in seguito alla scoperta di una cassetta di munizioni pronta per essere trafugata, è tratto in arresto dalle SS tedesche. Venne processato l’11 gennaio 1945 dal Tribunale Militare tedesco di Verona, per appartenenza a banda armata partigiana e fornitura alla stessa di munizioni. Venne fucilato all’alba del 9 febbraio 1945 al poligono di tiro di Verona. Il 3 agosto 1945, dietro sollecitazione dei familiari del Casanova, un certo Ugo Leggiadro di Verona, compagno di cella scampato alla morte, inviò una lettera in cui si affermava: “Compagno di fede, trucidato per raggiungere la schiera degli eletti degli eroi. Il sangue non fu sparso invano, ma servì per dare forza a noi per proseguire il cammino”.
Tommaso Fiore ebbe un ruolo importante nella lotta contro il fascismo nell'Italia Meridionale. Studioso attivamente impegnato nella vita politica e sociale, rappresentò le ansie e le aspettative dei contadini e dei combattenti. Nel 1920 si batté contro l'onorevole Caso e divenne sindaco, capeggiando una giunta che durò dal 1920 al 1922 e attuò misure che si ispiravano al socialismo e al “buon governo”. Il 24 novembre 1924 il sottoprefetto di Altamura informò il prefetto che Tommaso Fiore, presidente della locale sezione combattenti ed insegnante di lettere nella scuola complementare, svolgeva “sospetta attività” politica cautamente in Altamura e più liberamente a Gravina e Santeramo in Colle".
Il 16 gennaio 1925 ancora una volta venne sollecitato l’allontanamento del Fiore definito comunista. L’OVRA lo tiene sotto tiro e ne segue passo passo la sua azione: a Bari era presente un forte gruppo di aderenti al movimento antifascista e di simpatizzanti con i quali Fiore era solito incontrarsi nella villa comunale, nella propria abitazione o nei locali della libreria Laterza. L’arresto di alcuni suoi amici politici a Firenze lo mette in allarme e così mise al sicuro il materiale di propaganda.
Fu tratto in arresto il 7 aprile 1942 e ostinatamente negò di fronte alla commissione provinciale ogni addebito dichiarando che si era dedicato esclusivamente agli studi. Dopo l’arresto la situazione familiare si aggravò ulteriormente: il 28 giugno 1942 il figlio Vittore, studente in giurisprudenza era detenuto nel carcere di Bari e nell’agosto successivo risulta internato a Camerino. Tradotto al confino per motivi di salute a Quadri (CH) nell’agosto 1942, chiese il trasferimento ad Orsogna nella stessa provincia per avere con sé i figli Graziano e Francesca, studenti del II Liceo, che con la ferrovia sangritana avrebbero potuto continuare a frequentare il liceo a Lanciano.
Sollecitato dai suoi familiari il 29 ottobre 1942 Fiore presentò istanza per essere incluso nei provvedimenti di clemenza in occasione del decennale del regime. Nessuna richiesta di grazia e nessuna promessa di non interessarsi più di politica. Tommaso Fiore fu tratto in arresto il 7 aprile 1942, accusato di aver svolto attività disfattista contro il regime e fu inviato al confino a Ventotene, Quadri e liberato il 20 novembre dello stesso anno in occasione del ventennale del fascismo, rientrando nei provvedimenti di clemenza.
Sante Cannito, era nato il 28 giugno 1898 in un claustro del Centro Storico di Altamura. Aveva compiuto gli studi elementari con il maestro Cherubino Santoro in un paese che contava allora più dell’ottanta per cento di analfabeti. Partecipò al primo conflitto mondiale come combattente lungo le trincee del Friuli. Seguendo le orme del padre, emigrò negli Stai Uniti vivendo con trepidazione le vicende di Sacco e Vanzetti e così abbracciò l’anarchia. Poi il ritorno nella sua città dove iniziò la sua militanza, ricollegandosi all’esperienze libertarie, presenti in Altamura, dei circoli “Libero Pensiero” e “Leone Tolstoj”. Sotto il regime fascista e nella fase cruciale della liberazione, Sante Cannito fu sempre in prima linea.
Così descrisse in suo scritto (Frammenti di storia altamurana) quegli anni: “Il fascismo fu la fame per tutti i lavoratori” […] Ad Altamura pochi individui aderirono al fascismo, la classe lavoratrice era in genere ostile. I socialisti e gli anarchici ed alcuni esponenti conosciuti furono perseguitati. La polizia non passava che perquisiva le case private, mettendo tutto a soqquadro in cerca di cose inesistenti per mandarci in galera: gioco-forza che dalle proprie case si fece sparire ogni giornale e ogni libro. […] Tutti gli antifascisti avevano la tessera bollata con un dito nero, e sulla tessera era scritto “pericoloso in linea politica”, a qualche riottoso fu somministrato l’olio di ricino, chi non si levava un cappello al passare della squadra fascista con il fez nero in testa e camicia nera, riceveva manganellate. […] La classe padronale spadroneggiava, le giornate di lavoro venivano pagate a loro modo; chi si ribellava alle autorità veniva accusato di essere sovversivo, il concetto dell’“autorità” era in ogni situazione: dalla scuola a tutti i gradi della vita”.