Dall'autobiografia inedita di Tommaso Fiore

La collera popolare dell'aprile 1919

 copertina incendio al municipio

Il brano che segue fa parte dell'autobiografia inedita scritta da Tommaso Fiore negli ultimi due anni della sua vita, e si riferisce a uno degli episodi più noti della lotta antigiolittiana nei comuni della Puglia, contro i deputati trasformisti tante volte messi sotto accusa da Gaetano Salvemini, tra i quali la letteratura meridionalista ricorda soprattutto l'onorevole De Bellis.

L'on. Pasquale Caso, deputato da varie legislature, roccaforte del giolittismo nel grosso centro rurale delle Murgie, dopo una dura lotta popolare guidata da Tommaso Fiore alla testa del movimento dei combattenti, fu battuto nelle elezioni amministrative e Tommaso Fiore prese il suo posto.

L'incendio al municipio di Altamura che avvenne esattamente il 27 aprile 1919 fu un episodio della reazione popolare contro il malcostume e la corruzione di cui l'on. Caso era espressione. Tommaso Fiore aveva già descritto i fatti di Altamura in un articolo che apparve sull' Unità di Salvemini il 17 luglio del 1919 e che è stato ripubblicato nella raccolta di scritti L'incendio al municipio, a cura di Vittore Fiore e con prefazione di Gaetano Arfè, pubblicata dall'edizione socialista Lacaita nel 1967.

Quando Tommaso Fiore mandò la prima redazione dell'articolo al direttore dell'Unità salvemeniana, costui gli scrisse: «Caro Fiore, il tuo articolo ci procurerebbe centinaia di querele per diflamazione; i magistrati riceverebbero l'ordine di mandarci all'ergastolo. Bisogna dunque procedere con prudenza e non cadere nelle imboscate››. Gaetano Salvemini concludeva la sua lunga lettera consigliando Tommaso Fiore di consultarsi con il grande geografo meridionalista Maranelli e con il grande storico dell'economia socialista Gino Luzzatto, perchè temeva un grosso processo a loro danno.

Quello descritto non fu naturalmente il solo arresto di Tommaso Fiore. Egli venne arrestato a Cagnano Varano, in provincia di Foggia, quando la Gibson attentò a Mussolini e successivamente - come è noto  nel 1942 e nel 1943.

L'arresto del 1919...

L'arresto del 1919... L'onorevole Caso seguìtava il vecchio metodo giolittìano di imbrogliare il gioco. protetto a fondo dal governo. Di nuovo c'era che la baracca traballava, come traballava il governo, in guerra ancora più che in pace; la monarchia poi non aveva mai saputo vendere altri pesci che attraverso la fedeltà alla Triplice. Ora però, dopo la guerra, si trtrovava disorientata, senza alcun bene e con molti mali addosso (...).

Intanto a Mosca erano scoppiato le dieci giornate di ottobre e con poca fatica Petroburgo si era trasformata in Leningrado. Cosa voleva dire ciò? Voleva dire che un nuovo padrone del mondo russo con un tratto di penna cancellava le cianfrusaglie della vecchia monarchia, aboliva in un lampo tutti i principati dell'Asìa Centrale, richiamava trenta mila donne di bordello agli studi di medicina; ma soprattutto distrbuiva la terra ai contadini, in gran parte ancora brutali, promuoveva ogni sorta di scuola e soprattutto la moderna meccanica dell' aria.

In Italia. invece, e nel Mezzogiorno specialmente le acque erano assai agitate, talchè il prefetto di Milano coglìeva a pretesto i fatti di Russia e niente meno un'invasíone da parte di quel paese per organizzare ovunque il fascismo. Di questi fatti cianciava meno il sottoprefetto modugnese. come di come matematicamente esatte e, poichè io non consentiva in nulla, dava segno di grande fermezza rifiutando il sìgarillo nero senza carta che io fumavo quasi a dispetto (...).

La sezione combattenti. in piazza Sottoprefettura, ad Altamura, era sempre affollata fin troppo e sicura di stravincere, ma ciò non impediva che un bravaccio, alto un metro e novanta, dalla faccia patita di delinquente- (era lui che aveva ammazzato mio zio una ventina di anni prima) passasse e ripassasse lì dinanzi, agitando qualche arma per seminare spavento. Senonchè un microscopico ex soldatino, alto appena un metro e cinquanta, venne fuori una sera con una bella parroccola in mano e con un colpo mancino sulla zucca lo stese a terra in un mare di sangue che lo accecò.

E veramente nel Mezzogiorno con un nonnulla si punvicava un avversario politico, sino a stenderlo a terra una volta per tutte, e così anche questi fattacci, volere o volare, entravano nella politica quando meno c'è n'era bisogno (...). La mattina del famoso incendio del Comune di Altamura. il 27 aprile 1919, nel teatro Mercadante confiuivano i combattenti amici del deputato Caso. ma piò parea non avesse alcuna importanza, che i nemici stavano già dinanzi alla Prefettura, tranquilli del tutto. Ancora verso le dieci di mattina son chiamato già da casa, in presenza di un giornalista barese, un combattente che, poi finì fascista per guadagnare il suo pane. In piazza Sottoprefettura trovai uno spettacolo singolare: gran parte dei nostri assediava il portone della sottoprefettura, dove. si capisce, avevan visto entrare il disgraziato Caso. Gridava la folla che mi stava dinanzi che gli avrebbe fatto la festa, una volta per tutte. Dovetti dunque lì per lì arringarla, in specie una quarantina di arrabbiati che mi gridavano di togliermi di mezzo, per dio, gli volevano far la festa! Le mie parole invece furono semplici: « Non per questo. compagni. ci siamo battuti sul Carso, non per questo avete versato il sangue nemico, non certo per commettere ora un omicidio... e non per questo abbiamo formato la sezione combattenti, per versare altro sangue... di deboli donne. Passerete sul mio cadavere: prima».

E già arrivavano dei carabinieri, e così lui, ben protetto da costoro, scomparve dalla parte del Comune verso il largo del Castello da cui si arrivava all'estramurale, dirimpetto al palazzo Priore (...). Ed ecco il corteo avviarsi per il solito giro intorno alla città e da Porta Matera, dove io stavo di casa. risalire verso il Corso e poi piegare a sinistra, verso il Comune. La folla tutt'altro era che tranquilla. Lo constatavo correndole insieme da un capo all'altro...Mi stava a sinistra una vecchia di mia conoscenza, fedele per la vita e per la morte. Ma non di me certo mi preoccupavo, temevo invece che qualche scontro avvenisse coi casisti, ciò che bisognava evitare a ogni costo. Mi mise in sospetto soprattutto un muratore di mia conoscenza, dalla faccia rossa di ubbriaco e dagli occhi di spiritato.

Allorchè fummo all'imboccatura del portone dove speravo di trovar una valida difesa, mi si fece innanzi un unico carabiniere di poco sale in zucca che poi, in seguito, se ne mori pazzo. In un lampo fu travolto da una folla soverchiante. Arrivato su al primo piano,  percorsi in fretta le due camere dirimpettaie,  del sindaco a sinistra e del segretario a destra, e mi affacciai un momento al balcone. Fu qui che dei ragazzi mettevano fuoco carte secche del Comune stesso, facendone un bel fuoco.

In soli dieci minuti tutto I'archivio era stato divorato dalle fiamme ed io, solo come ero, non avevo più dove volgermi. Mi ritrovai fra lo spiazzo Minnini e la sottoprefettura, insieme con l'amico capitano Loiacono, che era stato in guerra con me. Ma non era questo il tempo di pensare alla nostra vita in macchina, giù giù verso l'Adriatico; ce ne stavamo lì e vi rimanemmo fino a quando la folla comincio a diradare. Dopo le dieci di sera vennero i carabinieri ad arrestarmi, che già mia moglie mi aveva raggiunto in piazza, così com'era incinta.


«Avanti!», 10 giugno 1973