Un ricordo toccante di Graziano Fiore a 80 anni dalla strage di via Niccolò dell'Arca (28 luglio 1943) in cui persero la vita 20 antifascisti tra cui il figlio di Tommaso Fiore e 38 furono i feriti. La commemorazione è apparsa su “Il Nuovo Risorgimento” anno I n.9-10 del 1944 a firma di Raffaele Nuovo.

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Graziano Fiore a Bari in via Vittorio veneto (attuale via Sparano) 1942 - tratta dal libro di Paolo Comentale "La bellezza e il coraggio", edizioni di pagina. 

   Signore o signori, non è una apologia che voglio fare; se la facessi mi sembrerebbe di contaminare la memoria del nostro più intimo amico, che era nemico della retorica. Voglio solo parlarvi del nostro Graziano, per spiegarvi la ragione per cui gli abbiamo intitolato l'associazione. Vi dirò solo quale l'ho conosciuto in due anni di convivenza.

   Mi fu presentato fin dal primo giorno quale antifascista e, con l'animo scevro di qualsiasi sospetto, qual è proprio nei giovani scambiavamo le nostre idee. Ma il nostro incubo era Javert professore fascista che veniva in classe a parlare continuamente del Duce e della nostra sicura vittoria. Diceva anche che Il comunismo era una cosa obbrobriosa, e per appoggiare questa tesi si portava in classe un opuscolotto di propaganda, di cui era costituito la sua cultura e leggeva descrizioni di presunte torture che i comunisti fecero ai loro compatrioti, e quando vedeva che noi sorridevamo di compassione per lui, ci diceva che i nemici bisognava guardarli in faccia e che ci avrebbe stroncati alla condotta. Poi venne il colpo inatteso. Erano lo vacanze di Pasqua e quella festa ci fu avvelenata. Un nostro amico ci portò la notizia che il professore, Vittore e Graziano la notte del lunedì di Pasqua erano stati arrestati. Ebbene quel giorno imprecavamo, gridavamo per la strada contro i metodi polizieschi che non rispettavano nemmeno la festa più cara ad ogni cristiano e che avevano strappato alla libertà il nostro caro Graziano. Lo vedevamo Iì proteso dietro una grata che guardava al cielo, alla libertà. Soffrivamo anche noi della sua stessa sofferenza e ogni giorno guardavamo lì verso la stazione, della speranza che lo vedessimo ritornare.

  Finalmente un giorno ci sembrò di vedere, sì, era lui, ma non il nostro Graziano di venti giorni prima. Più dimagrito, più triste, più uomo. No, non era più il giovane spensierato ed allegro che in classe voleva sapere di Lutero durante l'ora di matematica. Era un uomo, per noi, era un eroe; ormai non avevamo più paura di andare dentro, perchè la descrizione che ci aveva fatto dei suoi giorni di prigionia ci aveva reso familiare anche il carcere. Da quel giorno egli rappresentava per noi chi ne sapeva di più, chi ci diceva i metodi di interrogatorio, il trattamento delle carceri, chi conosceva i questurini ad uno ad uno. Alla fine dell'anno ci salutammo, ma quel giorno era triste. Lo eravamo anche noi in quanto conoscevamo la ragione della sua tristezza; suo padre e suo fratello erano al confino e quella giornata per noi era la felicità o la libertà, per lui era un'altra delle tante giornate in cui, ritirandosi o casa avrebbe trovato la madre in lagrime o Teta che domandava: «Perchè non viene papà" chi ci diceva i metodi di interrogatorio, il trattamento delle carceri, chi conosceva i questurini ad uno ad uno. Alla fine dell'anno ci salutammo, ma quel giorno era triste. Lo eravamo anche noi in quanto conoscevamo la ragione della sua tristezza; suo padre e suo fratello erano al confino e quella giornata per noi era la felicità o la libertà, per lui era un'altra delle tante giornate in cui, ritirandosi o casa avrebbe trovato la madre in lagrime o Teta che domandava: «Perchè non viene papà" chi ci diceva i metodi di interrogatorio, il trattamento delle carceri, chi conosceva i questurini ad uno ad uno. Alla fine dell'anno ci salutammo, ma quel giorno era triste. Lo eravamo anche noi in quanto conoscevamo la ragione della sua tristezza; suo padre e suo fratello erano al confino e quella giornata per noi era la felicità o la libertà, per lui era un'altra delle tante giornate in cui, ritirandosi o casa avrebbe trovato la madre in lagrime o Teta che domandava: «Perchè non viene papà"

   Signori, sono sofferenze di questa specie che fanno maturare uomo un giovane, e Graziano lo era diventato. Lo rividi tanti mesi dopo, più allegro perché suo padre era ritornato, ma il fascismo aveva impresso su quel bel volto i segni del suo odio. Sfollarono lui ei sui da Bari e si stabilirono a Molfetta. Graziano fu sempre tra noi, continuamente per tutto il giorno con quel suo viso allegro e con quell'aria canzonata che fu sempre sua particolare. Poi insieme incominciammo a studiare Il Funter, in due otre giorni lo leggemmo tutto: poi leggemmo «I doveri dell'uomo» di Mazzini. Quest'ultima richiese un po' più di tempo, perché costituiva il nostro Vangelo e divenne nostro sangue. Ma permettete che ora parli un po' di me, ero con tendenze marxiste e di discussioni tra Picca, Graziano e me erano all'ordine del giorno, lo slancio di un cattolico che sente dir male della Vergine, Graziano mi obiettava ogni tanto qualche cosa, ciò che mi faceva scorgere in lui un'esperienza diversa dalla mia, che egli intuiva ma non conosceva. E quando aprivamo Mazzini e trovavamo delle espressioni contro il marxismo, egli subito me le sottolineava con quella felicità di chi ha dato un contenuto logico al pensiero che prima era fatto di intuizioni. E devo a lui se ho abbandonato definitivamente Il comunismo, perché sentii al suo contatto l'inferiorità della mia idea, l'inferiorità della materia di fronte allo spirito a capii che, quando ci sono uomini capaci d affrontare la galera per la loro idea, la storia non può essere esclusivamente economia. Capii insomma che egli aveva la morale ed io no, che egli era dinamico ed io statico, che egli era la vita e io la morte. Fu anche allora che appena in sei persone aprimmo idealmente la soda del Partito d'Azione a Molfetta. Eravamo in sei giovani ansiosi di libertà, di sapere e ci riunivamo ogni tanto per discutere quello che avevamo letto, per stabilire quella che noi chiamavamo la nostra azione cioè di far venire, altri giovani a vedere quella Dea che noi da poco tempo scorgevamo,

   Poi si ricominciò la scuola e Graziano ritornò fra noi anche in classe. Egli era nemico acerrimo della matematica: non capiva perchè mai ci dovessero esser delle ipotesi così stupide in geometria o ai dovessero studiare certi segni e parole ostrogote in algebra, Un giorno s'innamorò o com'è proprio dell'esuberanza giovanile si improvvisò poeta, La sua prima poesia era - «Viale morto»; ma il dolore che si doveva completare in immagini rimaneva solo nel titolo. Era un inizio poco bello ma non scoraggiante. Ed egli la straccio. Poi fece altre poesie e devo confessare da critico da strapazzo che erano bellissime. Ma un giorno Graziano era molto triste. Capii subito: qualche cosa di grave era accaduto. Enzo, il dottore, era stato arrestato, si temeva por il professore e per Vittore. Difatti, qualche giorno dopo, Graziano fu chiamato fuori durante la lezione: venne in classe, prese i libri e andò via. A noi che domandavamo che cosa fosse successo, non rispose. Forse non aveva sentito. Lo trovammo fuori con un'aria triste e trasognata, ci disse solo: «Povero papà! E' rovinato». I dolori e le sofferenze ricominciarono, Graziano dimagriva ogni giorno, una volta aveva le labbra livide, ma diventava ogni giorno più bello. Noi suoi occhi rossi di lagrime brillava la verità: sì la libertà è l'unica cosa al mondo bella, santa, giusta, vera, quella libertà per il culto della quale suo padre e i suoi fratelli affrontavano la galera e lui si preparava a morire. Poi non lo vedemmo più. Graziano era partito per Bari con la famiglia. Noi pensavamo e prepararci spiritualmente e avremmo dovuto affrontare una situazione sia pura rivoluzionaria. Poi il fulmine a ciel sereno: Mussolini è stato cacciato. Era il nostro ideale che si avverava, erano i nostri amici che uscivano dalla galera, era Graziano che sarebbe tornato finalmente allegro come prima. C'erano sulla Gazzettail 28 luglio due bellissimi articoli sulla libertà, la scarcerazione di Fiore, Calogero, De Ruggiero.

Era la libertà che noi vedevamo finalmente raggiunta e figuratevi il nostro il nostro entusiasmo. Fino al 24 luglio, quando si pronunciava la parola libertà, bisognava guardarsi attorno, ora la vedevamo scritta. Prendiamo il treno delle dieci. Arriviamo a Bari che sono le 11. Ci informiamo; i nostri compagni d'idea sono ancora dentro. Al solito la burocrazia funziona male. Dobbiamo andare al carcere a sentire se ci sono novità, ma sbagliamo tram e vi troviamo Graziano con gli amici, più bello più allegro del solito. C'era nei suol occhi una luce troppo viva, quel mattino. A mezza strada, s'era fermato in casa di amici e aveva chiesto un bicchier d'acqua «Scrivete su questo bicchiere, disse, che vi ha bevuto per l'ultima volta Graziano Fiore». Ci abbracciò con grande effusione, alla signorina che chiedeva soldi del biglietto, egli rispose «Signorina, oggi non si paga, è festa». Povero Graziano! Sicuro! Per te era festa morire, come tante volte abbiamo sognato insieme, per la libertà. Quando, leggendo la storia del Risorgimento trovavamo quei martiri che hanno fatto grande l'Italia, noi giuravamo, che di fronte alla libertà tutto bisognava sacrificare, anche la vita. Perché tu solo hai avuto l'onore di adempiere questo giuramento? Perché tu e non noi? Già il destino e il fascismo perseguitavano la tua famiglia, la libertà è costata troppo cara ai tuoi. Ebbene, quando col tuo cervello fuori delle tempie ti portavano all'ospedale, agli amici che ti chiamavano, tu rispondevi con un sorriso di speranza, che non ti è mai mancato anche nei momenti più tristi. Ma allora era sorriso di gioia: avevi finalmente visto quella libertà quale l'avevamo sognata insieme, quando le grida servili ci assordavano le orecchie. Poi Graziano è morto... Il piombo fascista aveva fatto ancora una vittima, la vittima preferita. Egli s'era fatto innanzi, incitando i compagni, la camicia aperta, offrendo il petto. Sparate se ne avete il coraggio disse

   Signori, questo è Graziano. Egli è noi; noi siamo lui stesso. Ora vive in noi con la stessa intensità di vita con la quale vive in noi il desiderio di libertà. Ed egli è per noi qualche cosa tra il personaggio fantastico ed il reale, è un simbolo. Egli è il giovane che non conosce ma sogna la libertà e muore per essa, è il giovane che per mancanza di esperienza sente di amare la libertà. ma non sa il perché. Ebbene qual nome migliore di questo all'Associazione, quale figura migliore di Graziano avrebbe potuto significare la nostra aspirazione alla libertà e la gioventù risorta dopo il 25 luglio a nuova vita? Graziano vive e vivrà consumato i polsi con le catene. Questo è il nostro giuramento.

Raffaele Nuovo