BARI 28-29 GENNAIO 1944

A DIECI ANNI dal Congresso della Libertà

di Tommaso Fiore

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A 80 anni dal 1° congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, tenutosi a Bari al Teatro Piccinni il 28 e 29 gennaio 1944, riproponiamo un articolo che Tommaso Fiore scrisse per il quotidiano "Il Paese" il 29 gennaio del 1954.

"NON è senza commozione che, tenuta presente la odierna situazione d'impiccio e di divisione che regna nel nostro paese e nel mondo, si scorrono gli atti di quella prima libera assemblea dell'Italia e dell'Europa libera, che, in piena guerra, appena mezz'anno dopo l'arrivo degli Alleati sul nostro suolo, e prima che potessero raggiungere Roma, fu tenuta a  Bari fra il 28 e il 29 gennaio, esattamente dieci anni fa nel Teatro Piccinni. Vi parteciparono tutti i partiti politici, quelli che furono prima del fascismo e sono e saranno per mezzo di uomini della statura di Benedetto Croce, di Adolfo Omodeo, di Lello Porzio, di Eugenio Reale, Vincenzo Arangio-Ruiz, che vi fu relatore, di Cianca, Rodinò, Sforza, Lizzadri, Pesenti, Gaeta, Sansonetti, Fioritto, Tedeschi e tanti altri, del posto o di fuori, venuti apposta dall'altro troncone dell'Italia separata. E fu la prima prova, come si legge negli atti, della libertà riconquistata «di riunione di parola, condizione necessaria per il progresso dei popoli».

Sopratutto fu un magnifico esempio di concordia nazionale, cioè di accordo fra i partiti che avevano lottato il  fascismo, e, come in tutti gli accordi, tutti dovettero cedere qualcosa, ma la sostanza fu salvata, fu da tutti proclamata unanimemente, la necessità di rompere col passato, cioè con la monarchia fascista e di instaurare una politica di concordia nazionale, di libertà popolari e di difesa del lavoro. Tale lo spirito di quel primo congresso libero in mezzo all'Europa guerreggiante, senza che nessuno pensasse al proprio partito, peggio a continuare il vecchio sistema di opprimere contro ogni legge gli altri per interessi di partito.

Veramente il congresso era indetto per il 20 dicembre '43, ma, per gli intrighi della monarchia, era stato in un primo tempo vietato poi venne sottoposto a ogni sorta di fastidi e di limitazioni. Il governetto di Brindisi si era messo affannosamente «in cerca di uomini che  vogliano sporcarsi», com’ebbe ad esprimersi Croce, ma non era riuscito che «un’accolta di semiministri, di sottosegretari di ministri inesistenti»: laddove il congresso, boicottato da Vito Reale,  accolse non meno di 120 dei delegati, e vi assisterono, fra 800 invitati, non meno di 30 giornalisti, fra i quali, vestito ancora da soldato, lo Sprigge, lo storico inglese della «Storia d'Italia dalla unità ad oggi».

Oggi le parole che più ci commuovono, e si capisce, quelle di Benedetto Croce, per la ragione che, pur tenendo presente una realtà politica, mirano sempre all'ideale, al dovere, alla realtà eterna della vita. Perciò sono sempre attuali, anche oggi, anzi oggi come allora, per il ritornato intorpidirsi della vita nazionale. «Senza politica, nessun proposito, per nobile che sia, giunge alla sua pratica attrazione». O anche «solo le idee legano gli uomini serbandoli liberali». E soprattutto: «in alcuni circoli politici un malinteso conservatorismo sociale induce a qualche diffidenza verso il liberalismo, la democrazia»; ciò che va bene per gran numero degli uomini di governo nostri e di America, e  infine, con quel pacato guardar dall'alto le cose, che è proprio dei filosofi, senza dimenticarne nessuna, il solenne monito finale: «sia questo assetto saldamente stabilito sul più completo e più severo metodo liberale, senza alcun pericolo o residuo o provvisorio adottamento di dittature aperte o larvate; e si lasci alla libertà, che con la discussione e le transazioni e gli accordi tra diversi partiti è buona consigliera di cautele e saggia moderatrice, di provvedere, come essa sola può, alla vera conservazione sociale, che è inscindibile dal continuo progresso sociale, come il solito progresso a sua volta dalla conservazione di quanto di buono e di utile si è già acquistato nella vita civile e che perciò non deve andar perduto».

Anche la relazione del liberale Arangio-Ruiz serba il suo valore, per essere fondata sull'affermazione che «ogni potere venuto dal popolo al popolo ritorna». Ed è da notare che quest'affermazione già da allora si integrava nella richiesta di «una democrazia del lavoro», avanzata dal Partito Socialista e accettata, senza nessun contrasto, da repubblicani, democristiani e liberali.

Veramente il messaggio recato dal Nord da Lizzadri, chiedeva la «costituzione di un governo straordinario di liberazione nazionale, che assuma tutti i  poteri costituzionali dello Stato, senza compromettere la concordia della nazione e senza pregiudicare la libera espressione della volontà popolare sulla forma Istituzionale… perché l’Italia conduca, col necessario vigore, la guerra fino alla vittoria e assicuri il proprio avvenire ». Ma, come si sa, l'ordine del giorno presentato in questo senso, di costituire lì per lì, rivoluzionariamente, di propria iniziativa senza mandato popolare, un nuovo governo, in sostituzione di quello sciagurato di Brindisi, i tre partiti di sinistra, il socialista, il comunista e quello d'Azione, dovettero ritirarlo, proprio in ossequio alla concordia nazionale, senza cui non si fondano gli Stati nuovi. E c'era poi la guerra in piedi, da combattere, sopratutto, e la grande speranza di riuscire a costituire un esercito nazionale che aiutasse alla vittoria. Ma già il marchese di Rudinì era stato ammonito dalle sfere ecclesiastiche a non forzar troppo la mano, e sul cielo politico si profilava l'arrivo di Ercole Ercoli, cioè Togliatti, che doveva dare un altro impulso alle cose. Perciò, richiesta la abdicazione immediata del Re, fu rimandata ogni cosa alla futura Costituente, sempre «con l'appoggio delle masse popolari, al cui benessere il congresso intende lavorar », e fu costituita una Giunta «con le personalità politiche riconosciute come alta espressione dell'antifascismo». Poichè di primordiale necessità apparve a tutti «la radicale estirpazione del fascismo». E questo, in questi termini, disse il Croce".

Il Paese, 29 gennaio 1954