Questioni e polemiche

di Tommaso Fiore

Non fu un puro caso che, fuggendo in Francia, Salvemini consegnasse a Gobetti un mio scritto su Giolitti, che apparve fuori a metà del '23 su «Rivoluzione Liberale ». Appunto! Rivoluzione, non conservazione, e libertà in funzione di rottura col passato, non già di consolidamento di esso. Che cosa possiamo conservare noi del Mezzogiorno? Quale inesistente vita civile, quali libertà, quali classi dirigenti, quale assetto sociale?

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Francesco Radino, paese della Lucania. 

Oggi è opportuno ricordare, del grande amico di cui non conobbi Il volto se non dopo morte, la lezione da lui data al suo maestro Einaudi: «Anche il movimento popolare è un mirabile esempio di liberalismo, anch'esso nasce senza una teoria ». Ovvero anche: «Una democrazia vera deve nascere sul terreno storico del marxismo, e i democratici italiani che, sulle orme del buon Colajanni, imprecano a Marx, sono fior di reazionari ». Dopo questo, verrà uno scrittore del «Mondo » a rimproverarmi di esser passato dall'altra parte, di aver quasi tradito il liberalismo!

Quale liberalismo? Quello che, tra il '22 e il '25, ha fiancheggiato il fascismo,  nell’illusione di normalizzario? Quello di Villabruna, che stenta a spiccicarsi dalle braccia della D.C.?

A Gobetti, oltre tutto, io debbo di aver scosso in sul ‘25 la tradizionale pigrizia di studioso, per mettermi in giro a osservare le facce del mio paese, misurare il polso della volontà di resistere, sopratutto a empirmi l'anima della miseria delle plebi diseredate da secoli, e a rodermi dell'altra, maggiore e non vista miseria, quella dei ceti Intellettuali, di continuo piegati a ferro da una obbrobriosa prudenza.

E nemmeno fu un caso che da Avellino, con formazione storico-giuridica insofferente di filosofie astratte, Guido Dorso si trovasse in linea sin dal '24 su  «Rivoluzione Liberale », per schiudere al liberalismo il nuovo campo di azione, il Mezzogiorno. Noi non mettiamo l'accento sulla posizione antidittatoriale cioè anticomunista, che pure fa parte del nostro credo ideologico: a) perchè rifuggiamo da questa nuova reincarnazione dello spirito fascista; b) perché riteniamo più pericolose le destre che i comunisti; c) perchè questa è l'unica tattica Idonea a preservarci dalle infiltrazioni che la D.C. lamenta».

Doveva toccare al sottoscritto. il ‘47, commemorando il 20 aprile la scomparsa dell'amico, richiamar l'attenzione dei repubblicani che mi ascoltavano sul pericolo di un anticomunismo di maniera, della cui vacuità finalmente la nazione comincia a rendersi conto ora.

«Ancora una volta, aveva detto lo scomparso, lo slogan anticomunista è servito a questa essenziale funzione: nascondere la realtà, deviare le volontà, convogliare forze innovatrici sul terreno della conservazione, in una parola falsificare dati fondamentali della lotta politica italiana».

Oggi gli studiosi non discutono più l’idea della conquista regia, teorizzata dal Dorso, nella tradizione che va da Cattaneo a Missiroli, in attesa che l'indagine storica, appena iniziatasi, ci dica come si siano svolte effettivamente le cose, questo concetto va limitato, come pensa Gabriele Pepe, soltanto al Mezzogiorno.

Invece non è più controverso Il fatto economico essenziale, che nel Mezzogiorno le leggi eversive della feudalità giovarono molto più alla borghesia «che a sollevare le misere condizioni del popolo» e che  «ad esse si venne un po’ da per tutto sostituendo alla vecchia classe feudale di cui assorbì per conseguenza la funzione economica, contrapponendosi, con eguale tenacia, allo sforzo di rivendicazione delle classi più umili». In tal modo le questione meridionale, la liberazione cioè dei contadini, la loro immissione, finalmente! nel circolo della vita nazionale, è divenuto il problema massimo della vita Italiana, per le nazione e per lo Stato.

La notizia del delitto Matteotti colse a Bari Benedetto Croce. Per più d'una settimana il filosolo restò annientato, confuso, incapace di pronunziare una parola. Dopo Gobetti, Matteotti! Come prima, Jaurès e, dopo la guerra, Rathenau, Rosa Luxemburg e ancora... Ma dunque l'Europa incapace di libertà ordinata? E già si sa che le destre conservatrici ricorrono al sangue periodicamente. Fu allora che un gruppo di uomini di sinistra, 42, chiese di entrare o di rientrare nel Partito Socialista, proprio quando questo quasi più non esisteva.

E le mie lettere a Gobetti e poi a Gangale? Un incidente poliziesco m'impedì di continuarle, proprio nel momento che Giovanni Ansaldo, allora la penna più brillante dell'antifascismo, le giudicava fior fiore della saggezza politica...

Allorché poi tutto pareva distrutto, gli ultimi combattenti, all'interno del paese, si riunirono intorno a Rosselli, che pubblico «Il Quarto Stato », con Nenni vice-direttore. Non ho bisogno di ricordare che per il grande scomparso «il socialismo non è che lo sviluppo logico della libertà spinto alle sue estreme conseguenze. Considerato nel suo senso sostanziale e giudicato nel suoi risultati, il socialismo in quanto movimento dell'emancipazione completa del proletariato, un liberalismo in azione, è la liberta che si elabora per gli umili».

L'ultimo numero del giornale, del 23 ottobre 1926 recava «una soluzione dei problemi del Mezzogiorno» accettata tanto da Rosselli che dall'on. Treves. Anche oggi lo scritto mi sembra molto realistico, col suo incentrare problema della terra e della sede naturale che è il Comune» col volgere l'attenzione «ottenere prodotti di più alto reddito ». Vero è che oggi io vorrei l'accento sull'azione dello Stato, che è veramente risolutiva. Disgraziatamente, come e stato osservato anche per le « Lettere a Gobetti», queste pagine sono ancora attuali, nel senso che poco o nulla si è fatto per il Mezzogiorno. Soltanto, da allora, la visione di Giustino Fortunato, il quale giustamente reagiva alle poetiche illusioni dei nostri padri, è stata corretta da una più accurata indagine scientifica da una tecnica più scaltrita, per aumentare di molto nel Sud la produzione. « Scarse e mal distribuite pioggie, vero: ma, d'altra parte, clima privilegiato e produzioni precoci: inverno mite che consente la produzione anche quando al nord la terra dorme sotto la neve». Tale il giudizio del Serpieri, il maggiore responsabile, a parer mio, di quanto di bene e di male si è fatto nel Mezzogiorno, dove proprietari renitenti, solamente costretti dal governo, consentirono a riunire nei Consorzi Agrari, non già per attuare la bonifica, ma per silurarla. E ci sono perfettamente riusciti!

Augusto Monti ha scritto da ultimo « che oggi in Italia la questione non è più di settentrione e di meridione; tutta l'Italia oggi – alluvioni, anarchie di fiumi e torrenti, sfacelo geologico, fame di terra, galantuomini contro cafoni – tutta l’Italia oggi è unitariamente davvero, mezzodì», e ancora: «La questione oggi non è più di nord e di sud, ma è di altri punti cardinali. Voglio dire che ai termini tradizionali di nord e di sud ora bisogna sostituire quelli correnti di Occidente di Oriente: di Oriente che si vuol finalmente liberare, di Occidente che vuol ancora opprimere. La tragedia non è più nazionale, è mondiale».

Se si vuol condensare tutto in un concetto, diremo che tutti i mali del Mezzogiorno derivano dalla «frattura del medio ceto col mondo rurale, che solo avrebbe potuto alimentare fisiologicamente il ceto medio ». Questo e Il senso del volume del Marini sul Giannone, ha ricordato 3 mesi fa Gabriele Pepe. Da allora, cioè dall'eversione feudale dei Nepoleonidi, che politica abbiamo avuto mai verso il Mezzogiorno? E credete che ci sia cari almeno una politica borghese verso le classi medie, verso la media proprietà del sud? Magari fosse in atto una qualche politica di aumento di produzione alla disperazione non sono già ceti proletarizzati dell'Intelligenza meridionale, come va fantasticando il « Corriere della Sera» ma è tutto il medio ceto, sono tutti i medi proprietari. Girate le nostre campagne. Ebbene! L'immobilismo è quasi assoluto. Ma la responsabilità è sempre degli uomini del nord, di più, perchè più possono e più sanno.

L'ultima volta, il 27 febbraio del '48 che Guido De Ruggiero venne a Bari per una conferenza di storia, a sera tardi ci ritrovammo, al solito, nel locali della libreria Laterza, presenti molti giovani. Benedetto uomo! Invece di rallegrarsi della cacciata del re di Romania, metteva l'accento sul disordine tra quel popoli, temeva molto per le sorti della cultura. A contradirlo non fui io, fu un giovine di educazione liberale: - Non c'è da fare il viso dell'allarme ai moti che sorgon su dal popolo. Sempre le plebi, come dopo il  Mille, si sono rivolte prima di tutto alla roba, alle sistemazioni agrarie, lì è la libertà, di lì è venuta sempre la nuova vita.

Il Paese, 30 aprile 1952