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C'è corrente elettrica nell'aria. Ed è molto cattiva. Aleggia da tempo sulla città come un'enorme nuvola nera. Il suocentro è una stanza nuda e lugubre all'interno del penitenziario di Charlestown, un sobborgo di Boston, nel Massachusetts. Qui, tra poche ore lo Stato ucciderà
due innocenti. Due immigrati italiani, due amici, due anarchici: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
In questa «bastiglia che eclissa in infamia qualsiasi altra prigione degli Stati Uniti» (le parole sono di un governatore democratico), in questo pavido carcere distante solo poche miglia dal molo in cui approdavano le navi degli schiavi destinati ai "civilissimi" bostoniani, il Commonwealth del Massachusetts, con la sua parata di giudici, procuratori, giurati, governatori, poliziotti, ministri e boia, eseguirà presto l'ingiusta sentenza di condanna per due omicidi mai commessi.
Così poco avvezzi alla lingua inglese ma così fermamente contrari a ogni guerra e a ogni tipo di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, i due italiani, l'uno di Torremaggiore in provincia di Foggia, l'altro di Villafalletto, nel Cuneese, sono infatti colpevoli a prescindere: a stabilirlo sono pregiudizi razziali e l'odio politico che fanno da concime alla "terra dei liberi e la patria dei coraggiosi".
Togliendo loro per sempre la parola e la vita, lo Stato conta di dare una lezione a tutti gli "anarchici bastardi" - come li aveva definiti il giudice del processo -ai comunisti, agli iscritti ai sindacati dei lavoratori e a tutti i presunti sovversivi che sobillano alla ribellione per rovesciare il governo e incenerire le fondamenta di questa virtuosa società.
Per sette anni ha perciò rifiutato di accogliere le mozioni di riapertura del processo e le richieste di appello presentate dagli avvocati; per sette anni si è pervicacemente impegnato per dimostrare come la sua forza suprema riuscisse a vincere sulle mobilitazioni degli artisti, degli scrittori, dei giornalisti, degli intellettuali; per sette anni ha tenuto Nick Bart prigionieri in celle anguste, ignorando tutte le prove e i testimoni che avrebbero potuto scagionarli ben sapendo che, alla fine, per loro non ci sarebbe stata che la sedia elettrica.
Ma affinché tutto questo si compia, bisognerà attendere la mezzanotte. A quell'ora la tensione che da anni elettrizza non solo l'aria di Boston si trasformerà in una serie di potentissime scari- che di corrente alternata che folgoreranno i loro corpi e quello di un altro detenuto: Celestino Madeiros, il reo confesso dei due omicidi. Quando arriva la mezzanotte del 23 agosto 1927 il boia, un uomo di mezza età dall'aspetto insignificante, è pronto ad abbassare la leva. Prima tocca a Sacco, qualche minuto dopo al compagno.
A mezzanotte e 27 minuti tutto si è compiuto. Ma, a quel punto, la corrente non si ferma più. La mobilitazione Grazie anche all'impegno del Comitato di Difesa costituito dopo il loro arresto al civico 256 di Hanover Street, nell'italianissimo quartiere di North End, a Boston, quella corrente percorre città, valica montagne, attraversa mari e oceani per concentrarsi ovunque: nelle piazze, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle sedi dei comitati contro la pena di morte, nelle redazioni di molti giornali del continente americano come della vecchia Europa.
Dopo la loro esecuzione, quella stessa corrente diventa una scarica elettrica dalla potenza ancor più sorprendente: attraversa le
istituzioni, provoca rivolte, attentati, redige proclami di guerra contro lo Stato assassino e la sua famigerata red scare, proclama scioperi, chiede giustizia, accende lo scontro di classe. Per opportunità politica, l'Italia sceglie invece di non schierarsi apertamente contro gli Stati Uniti preferendo portare avanti una più cauta attività diplomatica. A raccontarci in modo appassionante e coinvolgente la complessità di una storia che a distanza di così tanti anni non smette di far discutere è un volume da poco approdato in libreria: Sacco e Vanzetti. La salvezza è altrove, scritto dal giornalista, scrittore e cantautore Paolo Pasi e pubblicato da Elèuthera.
Combinando lettere e documenti d'archivio a una scrittura efficace in cui la narrazione si fa romanzo, Pasi dà voce alla vita, alle idee, alla resistenza e alla disperazione di Ferdinando (che diventerà Nicola quando fuggirà in Messico con - compagni anarchici per evitare la chiamata alle armi), ma soprattutto a quelle di Bart, che parteciperà anch'egli al viaggio messicano e che proprio in quell'occasione avrà modo di conoscere il compagno. Su di loro e sul caso giudiziario che li ha visti protagonisti, molto è stato prodotto in questi cent'ani quasi, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti: film, canzoni (da Protesta per Sacco e Vanzetti della Compagnia Columbia e Sacco e Vanzetti del tenore Raoul Romito del 1927), drammi teatrali, fumetti, articoli, paper scientifici, romanzi, saggi, l'ultimo dei quali pubblicato lo scorso anno. Viaggio a Villafalletto Perché, dunque, un nuovo libro?
«Perché ero convinto che dietro le loro vicende processuali ci fosse molto di più. Pensiamo a Vanzetti, per esempio, che amava il canto, la lettura, la scrittura: egli aveva trovato una finestra di libertà interiore proprio nello spazio ristretto del carcere; aveva imparato a essere felice attraverso il dolore, a resistere per mezzo della parola. Ho vissuto la loro storia come un dramma moderno, che contrappone come sempre le ragioni della tirannide con quelle della libertà. Lo stesso Vanzetti lo sosteneva quando scriveva: "Il nostro caso fu fin dal prin-
cipio, è, sarà fino alla fine una scaramuccia dell'eterna guerra fra la tirannide e la libertà"», spiega Paolo Pasi.
Forse è per questo che alla "terra (che si crede) di Dio" ci è voluto mezzo secolo prima di riabilitare moralmente le loro figure:
SOlo nel 1977, infatti, l'allora governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, ha ammesso che il processo che li condannò era
«viziato da pregiudizi contro gli stranieri e i dissidenti». Strutturato in quattro parti, due delle quali interamente ambientate all'interno del carcere, arricchito dalle belle illustrazioni di Fabio Santin, il libro (e con esso l'avventura del suo autore) comincia da un paese del Piemonte
bagnato dal fiume Maira: Villafalletto, il luogo degli affetti e della memoria, abbandonato a 20 anni da Tumlin, come lo chiamavano in famiglia, per scappare dal dolore per la morte della madre.
«A Villafalletto ho respirato le vibrazioni della storia: quando ho visto la casa dove vivevano iVanzetti e il lungo viale alberato che portava alla vecchia stazione, mi sono calato nei panni di Bart, l'ho immaginato mentre usciva da quella porta per cominciare un viaggio da cui non avrebbe mai più fatto ritorno. Il primissimo passo però, quello che mi ha portato a pensare e a scrivere questo libro, l'ho fatto dopo aver let-
to Un pezzo da galera di Kurt Vonnegut, con le sue straordinarie pagine sui due anarchici che diventano metafora dell'insofferenza al potere arbitrario». Incongruenze e ingenuità Bartolomeo, e con lui Nicola, vivono sulla pelle quell'America amara che vuole essere degli america-
ni, non certo degli stranieri o dei radicali. In un passaggio di una lettera ai familiari è lo stesso Vanzetti a sottolinearlo: «Qui è bravo
chi fa quattrini, non importa se ruba o avvelena; la giustizia pubblica è basata sulla forza e sulla brutalità, e guai allo straniero e in particolare all'italiano che voglia far valere la ragionecon mezzi energici». coloro che non si adeguano al suo way of life, la sospettosa America ossessionata dal bolscevismo riserva gli arresti, le torture e i rimpatri forzati previsti dal famigerato "piano Palmer". «Non volevo scrivere la storia di due eroi, ma raccontare la loro vicenda umana con tutte le incongruenze e le ingenuità che caratterizzano la vita di qualsiasi per-
sona. Pensiamo solo alle mezze verità abbozzate in un primo momento per il timore di essere espulsi e all'arma che detenevano al momento della cattura: un "dettaglio" enfatizzato dall'accusa che Vanzetti giustificò come autodifesa. "Non sono tempi tranquilli", disse. Non dimenti-
chiamo, infatti, che due giorni prima dell'arresto l'anarchico Andrea Salsedo precipitò da un edificio di Manhattan dove aveva sede l'Fbi».
Nemmeno oggi viviamo tempi tranquilli: la realtà è persino più complessa di quella vissuta da Nicola e Bartolomeo, eppure la loro storia ci può insegnare ancora tanto. «È la testimonianza di due persone che hanno scelto di non stare al proprio posto, in quello cioè che gli era stato assegnato, e di ribellarsi. È una storia attuale perché ci parla del coraggio di non obbedire al potere, di al non rassegnarsi allo sfruttamento, di
non farsi schiacciare da un'autorità che vorrebbe annientare le ragioni degli individui, i loro sentimenti, i loro sogni. Allo stesso tempo ci parla dei confini, della guerra, della pericolosa logica dei nazionalismi. Nell'aula dove si svolse il processo», conclude l'autore, «i due risposero con parole meravigliose all'accusa di diserzione che venne loro mossa: disertare.,dissero, non significa sostenere le ragioni del nemico, ma ritrarsi dallo sparare al nemico, non partecipare alle violenze e agli assassini, stare dalla parte della pace».
Domani 10 febbraio 2024
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Striscia di Gaza
di Mohammed R. Mhawish*
L’attacco israeliano alla Striscia di Gaza dura da più di 120 giorni, e nella città di Gaza affrontare le difficoltà quotidiane come restare al sicuro, combattere le fame e proteggersi dal freddo è già una guerra. Centinaia di migliaia di persone hanno perso le loro case. Poi anche un posto dove ripararsi. Israele li ha bombardati tutti: ospedali, scuole, ambulatori e qualunque spazio aperto dove potevano radunarsi i civili. L’intera popolazione di Gaza è stata sfollata. Dopo che la nostra casa è stata bombardata non sono stato più solo un testimone delle migliaia di persone in fuga. Io e la mia famiglia siamo andati in un rifugio delle Nazioni Unite nel nord della Striscia di Gaza, diventando a nostra volta sfollati come gli altri.
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BARI 28-29 GENNAIO 1944
A DIECI ANNI dal Congresso della Libertà
di Tommaso Fiore
A 80 anni dal 1° congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, tenutosi a Bari al Teatro Piccinni il 28 e 29 gennaio 1944, riproponiamo un articolo che Tommaso Fiore scrisse per il quotidiano "Il Paese" il 29 gennaio del 1954.
"NON è senza commozione che, tenuta presente la odierna situazione d'impiccio e di divisione che regna nel nostro paese e nel mondo, si scorrono gli atti di quella prima libera assemblea dell'Italia e dell'Europa libera, che, in piena guerra, appena mezz'anno dopo l'arrivo degli Alleati sul nostro suolo, e prima che potessero raggiungere Roma, fu tenuta a Bari fra il 28 e il 29 gennaio, esattamente dieci anni fa nel Teatro Piccinni. Vi parteciparono tutti i partiti politici, quelli che furono prima del fascismo e sono e saranno per mezzo di uomini della statura di Benedetto Croce, di Adolfo Omodeo, di Lello Porzio, di Eugenio Reale, Vincenzo Arangio-Ruiz, che vi fu relatore, di Cianca, Rodinò, Sforza, Lizzadri, Pesenti, Gaeta, Sansonetti, Fioritto, Tedeschi e tanti altri, del posto o di fuori, venuti apposta dall'altro troncone dell'Italia separata. E fu la prima prova, come si legge negli atti, della libertà riconquistata «di riunione di parola, condizione necessaria per il progresso dei popoli».
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Antifascisti e Anticomunisti
La difficoltà degli italiani di essere totalitari sempre
di Elio Cappuccio
Gli scenari politici contemporanei, in cui si affermano spesso regimi autocratici e forme variegate di populismo illiberale, sollecitano una riflessione sul peso che l'opposizione al totalitarismo ha avuto nella storia del nostro paese. Lo sostiene Massimo Teodori in Antitotalitari d'Italia (Rubbettino, 2023). Nel Dopoguerra si è affermata la tendenza identificare 'antifascismo con il Pci, l'anticomunismo con una posizione reazionaria. Ciò ha reso difficile, in molti ambienti, accettare che un democratico potesse dichiararsi antifascista e al tempo stesso anticomunista. Gaetano Salvemini rappresenta una figura esemplare tra gli intellettuali che Teodori ha scelto per descrivere questo clima. Nel giugno del 1954, su Il Ponte, Salvemini si definiva infatti un socialista democratico gradualista, del tutto estraneo «al sistema totalitario che i comunisti impianterebbero in Italia». Scriveva inoltre di non potersi sentire comunista per le stesse ragioni per cui non era stato fascista.
Il radicale Francesco Saverio Nitti metteva in luce, da parte sua, il fatto che nazismo, fascismo e comunismo condividevano l'identificazione del partito unico con lo stato e il culto messianico del capo. L'analisi di Nitti trovava riscontro anche in Luigi Sturzo, che ravvisava «somiglianze tecniche» tra comunismo e fascismo.
Nel 1948 il Cominform promosse, in funzione antiamericana, il Congresso mondiale degli intellettuali per la pace, a cui si contrappose due anni dopo, in campo occidentale, il Congress for Cultural Freedom, che ebbe in Italia il suo corrispettivo nell'Associazione italiana per la libertà della cultura, guidata da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte. All'Associazione, patrocinatadallo stesso Salvemini e da Benedetto Croce, aderirono fra gli altri Guido Calogero, Adriano Olivetti, Marco Pannunzio, Ernesto Rossi, considerati da Palmiro Togliatti, con la rozzezza che caratterizzava la sua polemica verso gli avversari, un «rosario dei cretini».
L'esperienza del Mondo
Il Mondo, fondato da Pannunzio nel 1949, divenne il luogo privilegiato di confronto per la cultura laica liberaldemocratica che si richiamava all'eredità dell'azionismo e vedeva al tempo stesso in Croce e Salvemini dei sicuri punti di riferimento. Teodori sottolinea come la rivista, pur accettando la scelta atlantica, non mancasse di denunciare il maccartismo (un «ridicolo anticomunismo», scrisse Calogero) e il coinvolgimento degli Stati Uniti nell'affermazione dei regimi autoritari sudamericani. Nel 1950 Il Mondo pubblicò a puntate 1984 di George Orwell, attirandosi le aspre critiche di Togliatti, che si scagliò contro la rivista, in quanto, a suo avviso, raccoglieva «sedicenti liberali che raccomandano i preti e Benedetto Croce», colpevole, fra l'altro, di aver recensito il romanzo. L'attacco agli intel-
lettuali che condividevano la linea editoriale di Pannunzio si manifestò in modo volgare, con espressioni simili alle peggiori performance dei talk show dei nostri giorni. Carlo Ludovico Raggianti fu definito un «pigmeo della guerra fredda», Vittorio Gorr sio «uno scarafaggio», Gaetano Salvemini «una persona poco seria». Nel giugno del 1944, su Rinascita, il Migliore, così accogliente verso i Redenti, aveva già accusato Croce di essere stato il «campione della lotta contro il marxismo (...) all'ombra del littorio», in cambio di poter scagliare «ogni tanto una timida frecciatina contro il regime». Il ritorno dei comunisti perseguitati, proseguiva, non avrebbe più permesso che le «merci avariate» diffuse da Croce circolassero ancora.
Le contraddizioni
La scomunica di Orwell ebbe i suoi effetti, se è vero che si dovette aspettare proprio il 1984 per veder riabilitare il romanzo nell'area comunista. Teodori riprende, a questo proposito, la tesi di Silvio Barella, secondo il quale la colpa di tutte le persone di sinistra dal 1933
in avanti è stata quella di aver voluto essere antifascisti senza essere antitotalitari. Dopo 1989, i diversi nomi
che il Pci assunse, fino a diventare l'attuale Pd, e le ambiguità delle scelte politiche dimostrano come il rifiuto di seguire la via socialdemocratica abbia gravato profondamente in quella parte della sinistra che solo la forza degli eventi ha reso di fatto postcomuni-
sta. L'itinerario seguito da Teodori trova piena conferma in una vicenda emblematica, in cui queste contraddizioni emergono in modo evidente. Si tratta dei complicati rapporti del filosofo Salvatore Veca con il Pci. In Prove di autoritratto, Veca raccontava di essersi illuso che il Pci fosse in fondo un partito socialdemocratico, ma non lo dicesse. In realtà, malgrado i militanti e i dirigenti prendessero atto del fallimento del socialismo reale, ritenevano un tradimento abbandonare il sogno di superare il capitalismo. Questa rinuncia li avrebbe infatti assimilati a un "qualsiasi" partito socialdemocratico, ponendoli sullo stesso piano del Psi. Ecco perché Veca, che si avvici-
nava alla prospettiva liberale di equità e di giustizia sociale delineata da John Rawls, fu considerato, negli anni Ottanta, un «traditore» della classe operaia, un «nemico del popolo», come sarebbe stato definito decenni prima nei tribunali sovietici.
Domani, 20 dicembre 2023
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Stranieri, affittuari, coppie con molti figli, I poveri in Italia superano i 5,6 milioni n povertà assoluta
Stranieri, affittuari, coppie con molti figli I poveri in Italia superano i 5,6 milioni no permettersele. E tra salute e povertà c’è una correlazione doppia perché chi è povero non si cura e chi ha una malattia fatica a lavorare e diventa povero. Dunque, oltre ai sostegni monetari sono da utilizzare le leve delle politiche attive per il lavoro ovviamente, ma anche di quelle per la casa, la salu- te appunto e una migliore presa in ca- rico delle situazioni di disagio. E poi, soprattutto al Sud, una consistente azione formativa rivolta alle donne, per la loro qualificazione. Oggi i tassi femminili di partecipazione al lavoro sono bassissimi, mentre un reddito aggiuntivo o anche un primo reddito di qualità in famiglia è determinante per cambiare il proprio destino, spezzare la catena della povertà intergenerazionale. Il nuovo Assegno di inclusione – allargato a più stranieri, più “ricco” per le famiglie con figli – e il sostegno formazione lavoro saranno efficaci? Le correzioni sugli stranieri e i figli al Reddito di cittadinanza sono giuste, in parte dovute per i rilievi europei. Ma la platea complessiva dei beneficiari è stata fortemente ridotta, anche per i nuovi limiti Isee. Mentre il nuovo strumento della piattaforma per il lavoro è una via crucis per disoccupati dalla bassa istruzione. Nel complesso è un intervento politico miope. Perché per conquistare qualche voto moderato e per tagliare la spesa di 3 miliardi di euro, il Governo finirà per provocare un peggioramento della situazione sociale in termini di povertà, abbandono scolastico, peggioramento delle condizioni di salute e di vita, i cui costi nei prossi- mi anni supereranno di gran lunga i ri- sparmi ipotizzati.
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L’inflazione strozza l’Italia e spinge sempre più famiglie sotto la linea rossa della povertà assoluta. Picchia duro sul Sud e colpisce in particolare i nuclei numerosi, i bambini, gli immigrati, chi vive in affitto. Ma non risparmia nemmeno gli operai. La fotografia aggiornata delle disuguaglianze e del disagio sociale italiano arriva dall’Istat nel rapporto presentato ieri. Nel 2022 le famiglie in povertà assoluta sono state 2 milioni e 187mila: rispetto al 2021, sono cresciute dal 7,7 all’8,3% del totale. Si tratta di un esercito di oltre 5,6 milioni di individui che non raggiungono la capacità di spesa considerata minima per assicurarsi una vita dignitosa. Tra loro ci sono ben 1.270.000 minorenni. I poveri sono 350mila più dell’anno prima, poco meno del 10% dei residenti in Italia, cioè uno su dieci.
L’Istat, che quest’anno ha aggiornato le sue metodologie di calcolo della povertà, sottolinea come il peggioramento rispetto al 2021 sia dovuto appunto, in larga parte, alla forte accelerazione del carovita, che lo scorso anno ha raggiunto l’8,7%. Nel 2022 in teoria ci si sarebbe potuti aspettare un miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie: il Pil è cresciuto del 3,7% e gli occupati sono aumentati di oltre 500mila unità. Invece la corsa dei prezzi, unita alla stagnazione dei salari e alle debolezze del welfare, ha allargato la polarizzazione sociale accanendosi in particolare sulle fasce meno abbienti. L’Istat calcola che il carovita abbia pesato per il 12,1% tra coloro che si trovano nel quinto meno ricco della popolazione - costretti a ridurre i consumi in termini reali del 2,5% - e solo per il 5,5% sul quinto più benestante. L’inflazione si conferma così una supertassa iniqua e regressiva che ha colpito i più deboli nonostante le mi- sure di contenimento messe in campo lo scorso anno dal governo. Senza i vari aiuti d’emergenza come i bonus per le bollette, la povertà sarebbe stata infatti superiore di altri 7 decimi di punto. Ad attutire il fenomeno sono stati anche strumenti di sostegno, come il reddito di cittadinanza, che lo scorso anno l’Istat stimava abbia ridotto di circa un milione i poveri assoluti. L’indigenza assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (salita al 10,7%, dal 10,1% del 2021), seguito dal Nord (7,5% dal 6,9) mentre il Centro conferma i valori più bassi, pur in peggioramento (6,4% da 6).
Il rapporto conferma che la maggiore vulnerabilità sociale si registra tra famiglie numerose e gli immigrati. Tra i nuclei con cinque o più componenti quasi uno su 4 è povero assoluto, l’incidenza ha raggiunto infatti il 22,5% mentre tra i nuclei con quattro persone è all’11%. In difficoltà anche le famiglie di tre componenti (8,2% da 6,9%). Lo stato di povertà in Italia interessa quasi 1 milione 270 mila minori (il 13,4% del totale, rispetto al 9,7% di tutti i cittadini) ed è particolarmente marcato (15,9%) del Mezzogiorno. Più aumentano i figli più si è poveri, un dato da tenere presente quan- do si parla di denatalità: l’incidenza della povertà è al 6,5% per le coppie con un solo figlio minore, sale a 10,6% per quelle con due figli minori e schizza al 21% per le coppie con tre o più figli minori. Questi valori sono rimasti stabili rispetto al 2021. Tuttavia, l’intensità della povertà (indice che misura la distanza dalla soglia minima) delle famiglie con figli piccoli, pari al 20,6%, è superiore a quella del complesso delle famiglie povere (18,2%), a testimonianza di una condizione di marcato disagio.
Drammatica anche la situazione della popolazione straniera: i cittadini non italiani in povertà assoluta sono oltre un milione e 700mila, con un’incidenza pari al 34%, oltre quattro volte e mezzo superiore a quella degli italiani (7,4%). Ogni 10 famiglie povere tre sono straniere, pur rappresentando queste ultime solamente l’8,7% del totale delle famiglie. Lavorare non basta per difendersi dalla povertà. Il 14,7% delle famiglie dove la persona di riferimento è un operaio, cioè una su sette, è povera e l’incidenza è superiore alla media anche fra i lavoratori indipendenti che non siano imprenditori o liberi professionisti. Ma se si perde il lavoro, ovviamente, va ancora peggio: tra i disoccupati quasi uno su 4 è povero assoluto. Incide pesantemente anche il problema della casa. Tra le famiglie in grave difficoltà il 45%, circa 980mila, vivono in affitto: tra chi non possiede una casa l’incidenza della povertà è del 21,2% contro il 4,8% di chi vive in abitazioni di proprietà ed entrambi i valori sono in crescita rispetto al 2021 (erano al 19,1% e al 4,3%). La povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio: tra i diplomati o più è solo al 4,0%, balza al 12,5% con la licenza media e al 13% con quella elementare.
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«La vostra generazione è in lutto perché voi più del McDonalds, o di videogiochi, dei social cretini non comprendete. Fatica, dedizione, sacrificio, rinunzia sono tutti termini cancellati dal vocabolario».
«La vostra estinzione sarebbe un bene per tutti ma invece di cancellare soltanto i vostri figli dal progetto, potreste considerate pure un'altra scelta che azzera la vostra impronta ecologica: domani mattina spogliatevi, infìlatevi nel cassonetto del’umido. Passa il comune, pensa a tutto lui» (questo l'ha scritto un poco noto politico di destra ed è il mio pieferito).
Quelli che avete appena letto sono solo alcuni degli oltre 400 commenti appollaiati sotto ad un tweet, postato dall’account di questo quotidiano e contenente il link a un articolo.
Il pezzo in questione l'ho scritto io, si intitolata La mia generazione è in lutto per i figli che non avrà mai e aveva un obiettivo semplice: dire che la mia generazione, poco più e poco meno che trentenni, si sta interrogando se fare dei figli abbia senso. Il nostro pianeta sta morendo, la crisi climatica è vicinaa un punto di non ritorno e la domanda, nella nostra testa, è sora spontaneamente,e in modo genuino: se la situazione è de- stinata a peggiorare, e lo è, per quale ragione dovremmo mettere al mondo altri esseri umani, che tipo di esistenza potremmo mai dare loro? È un quesito facile, che riguarda la mia generazione—non tutta no, ci tengo a sottolinearlo, questo: non voglio assurgermi a nulla solo riportare il dubbio che tanti di noi hanno. Eppure chi ha commentato, che temo il pezzo non l'abbia letto e si sia limitato al titolo, ha reagito con una rabbia che posso interpretare solo con la paura di chi si vede attaccato. Perché però si è innescato questo meccanismo? La spiegazione più semplice è che si tratti di banali leoni da tastiera («stamattina non ho nien- te da fare, allora mi tuffo sui social e mollo un po' di bile qui e li»), temo, però, ci sia dell'altro, che dietro questi commenti ci siano ragioni più profonde.
Lo scontro
È qualcosa a cui ho pensato quando, bazzicando i profili dei commentatori, ho notato che molti hanno un'età compreso tra i cinquanta e i settant'anni sono parte della vecchia guardia, insomma E lì mi si è accesa la lampadina, e ho realizzato: in atto c'era uno scontro generazionale. Da una parte della barricata noi appena arrivati, la cui percezione del mondo è di un edificio che va a fuoco, dall'altra loro, che ci vedono come lamentosi e viziati ragazzini senza spinadorsale.
Le generazioni non riescono a comunícare ed è qualcosa di fisiologico, basta tornare indietro nel tempo per capirlo: il passaggio di testimone non è mai semplice. Da una parte ci sono i più giovani, che si lamentano di ritrovarsi tra le mani una situazione difficile sotto tanti punti di vista e che chiedono che vengano apportate modifiche a un mondo che necessita di nuovi assetti, nuove politiche più adatte ai tempi e agli stili di vita. Dall'altra i meno giovani, che hanno la sensazione d'essere redarguiti sul lavoro svolto finora che si vedono recriminati sebbene ai propri figli abbiano dato tutto ciò che era nelle proprie possibilità e che dopo un'esistenza di sacrifici si sentono dire che le cose, così come sono, non vanno comunque bene. Non è níente di nuovo succede ormai da tantissirni anni. Le generazioni, appunto, non sanno comunicare tra di loro. Io, peró, un tentafivo io comunque voglio farlo.
L'immaginario
Chi siamo per voi, noi quasi trentenni? Siamo i bamboccioni. Quelli che stanno infrattati incasa di mamma e i papà per troppo tempo, che nella classifica europea lasciano casa tra gli ultimi e non ne vogliono sapere nulla di diventare adulti cominciare una vita Siamo i rompicoglioni. Quelli che si lamentano quando viene offerto loro un impiego dalla paga bassa perché lagavetta non la vogliono fare e pretendono di trovare la tavola già apparecchiata. Siamo i molesti. Quelli che in un giorno qiualsiasi invece di cercarsi un lavoro, montano le barricate in autostrada o imbrattano, vandalizzano i monumenti (il ministro Matteo Salvini, parlando degli attivisti di Ultima generazione, ha scritto Quelli che dicono sempre NO a tutto, quelli del NO ad ogni opera umana per mettere in sicurezza i fiumi, i laghi, i boschi,le campagne e le città sono un danno per l'ambiente e per l'Italia. Vandali, patetici con molto tempo líbero).
Siamo gli immaturi. Quelli che preferiscono farsi uno Spritz a fare un figlio, e che pur di non fare- up di pargoli, danno nomi pro- pri di persona at loro cant; cose dicui ècertalaministraEugenia Roccella Siamo i viziati. Quelli che si lagnano degli affitti trop- po cart e, cami›eggiando come imbeõlliinuniveisităpretendo- no che venga fatto qualcosa Secondo voi, noi siamo questo.
Nientedi piùdistantedalla real- ta Generazione crisi, ecco cos'è la nostrx Una generazione cre- sciuta net segno della crisi. Eco- nomiœ,lavorativa,politicaeam- bientale Provateci, voi a edifica- re il palazzo dellavostraesisten- zapoggiandosudellebasicosìla- bili, cœtruendovi sufondamen- ta chetraballanoa causadi crisi, ormai, strutturali. Non soltanto èdifficileconcretamente,maan- che psicologicainente Siainoquelli che lascianoil nido tardi,èvern dopodinoi,in Euro- pe solo altri cinque paesL Ma non è un dato che dipende da una nostra mancanza di volon- tà ( cosavi fa ciedereche provia— moildesideriodirimanereinca-
strati in casa dci nostri genitori finoatrent'anni?),propriono:di- pende dall'assenza di certezze economiche. Secondo Il Sole 24 ore, nel2020la retribuzione net- taaunannodallalaureaè,inm+ diadi l.27oeuro, secondoil New York Times, la Generazione Z — quellasubitosuccessivaallamia
— nonriescea permettersi dipa- gare l'affitto di iina stanza: ima stanza, e nienPaltro.
5iamo quelli che si lamentano quandovieneoffertolorounim- piegodallapagabassaèvero, pe- rò — perdonatemi se lo sottoli- neo— gut s'innesca un cortoni-
cuito feel VOStiØ stesso l'agiOIld—
mento: acœttassimo dilavorare con un conoatto a tem¡›o deter- minato, peruna paga che,aconti
fatti, non ci consentirebbe di vi- veresoli1a¡›ossibi1itàdi lasciare il nido non l'avreinmo: un cane che si morde la coda Siamoquellichemontanolebar- ricate in autœtrada e imbratta- noimonumenti, èvero,¡›eróque- sto piaiieta lo abitate anche voi mipare,ese cerchiamo di attira- re lavostra attenzionesullacrisi climatica dovreste esserci solo grati; a tal proposito, ho rivisto DONE look up, di recente dategli un'occhiata,ecapiretelafrusoa- zione che senfiamo dentro.
Edunque no, ministro Salvini: il dannoper1’Ita1ianonsonoima- nifertanti di Ultima generaziœ ne,machi,comeunagrandepai- te del governo di cut lei fa paite, si ostina a negare che la crisi cli-
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- ar« «Consiglierie a chi la pensa così da buttarsi giù di una rupe» «Io non capiscoperchè gli autori di
- Consiglierei a chi la pensa così di buttarsi da una rupe». «Io noncapisco perché gli autori di questi