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L'altra guerra degli internati militari
di Silvia Pascale e Orlando Materassi storica e presidente dell’Anei*
Gli Internati militari italiani, i soldati catturati dall’esercito tedesco dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, hanno scritto una pagina fondamentale della Resistenza e le loro storie sono una grande testimonianza di coraggio. Dopo l’annuncio dell’armistizio, circa 650mila soldati pagarono un prezzo altissimo: i reparti tedeschi li disarmarono e li catturarono nel nord Italia, ma anche in Grecia, Albania, Jugoslavia e sugli altri fronti, avviandoli alla prigionia nei territori del Terzo Reich, dove diventarono schiavi di Hitler, lavoratori forzati nella macchina bellica tedesca. I vertici tedeschi, infatti, avevano preventivato da tempo una possibile defezione italiana e appena ebbero conferma dei loro sospetti attuarono contromisure tempestive per invadere la penisola, prenderne il controllo e sfruttarne uomini e mezzi.
Mussolini e Hitler in piazza San Marco a Venezia. La grande maggioranza degli Imi preferì la prigionia agli appelli a passare dalla parte del Führer
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Verso il 25 aprile
Mirco Carrattieri
storico
La convivenza di religione e partigiani è un tema sul quale da tempo si interrogano gli storici, ma solo di recente si è riusciti a darne un ritratto meno stereotipato. Anche grazie alla nuova generazione di studiosi
I nuovi studi sui cattolici nella Resistenza ci trasmettono una immagine meno stereotipata, soprattutto in merito alla questione della violenza agita, da sempre rovello ma anche elemento rivendicato come distintivo. Una acuta messa in discussione di questo tema si trova nel volume Una violenza “incolpevole”, scritto da Alessandro Santagata e pubblicato da Viella nella collana dell’Istituto Parri. La ricerca è stata la prima vincitrice del premio Pavone, e proprio dallo storico Claudio Pavone (e da Santo Peli) prende le mosse: i nodi della scelta e della violenza sono centrali; ma per capire se e come rispetto ad essi ci sia una specificità cattolica, l’autore decide di studiare la Resistenza tra Padova e Vicenza.
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Verso il 25 aprile
di Amedeo Osti Guerrazzi
storico
L’incontro tra Benito Mussolini e un milite adolescente della Repubblica sociale italiana nel 1944
FOTO WIKIPEDIA
Tra il settembre del 1943 e l’inizio di maggio 1945, centinaia di migliaia di italiani combatterono agli ordini di Mussolini una feroce guerra civile, causando migliaia di morti tra comuni cittadini e partigiani, e collaborando all’arresto e alla deportazione di antifascisti, renitenti alla leva, operai, ebrei e qualunque altra categoria di persone che si opponesse o non rientrasse nei canoni della “legalità” del nuovo stato fascista. Non furono pochi, inoltre, i fascisti che pagarono con la vita questa loro ostinazione nel voler difendere un regime, e un uomo, chiaramente destinati alla sconfitta.
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55 anni dalla scomparsa di uno dei teorici del Manifesto di Ventotene
Intellettuale antifascista e liberale, perché a questa Italia servirebbe ancora un Ernesto Rossi
di Alessandro De Nicola
Ernesto Rossi e con la mogliae Ada a Ginevra 1944
Aria fritta è il titolo di uno dei libri più famosi di Ernesto Rossi, il grande intellettuale prestato alla politica del quale oggi, 9 febbraio, ricorre il cinquantacinquesimo anniversario della morte, avvenuta a Roma nel 1967.
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Dalla parte giusta. C’erano anche tedeschi brava gente
di Simonetta Fiore
Furono diecimila i soldati della Wermacht in Italia a gettare la divisa e spesso a unirsi ai partigiani. Ora gli storici li studiano
Partigiani tedeschi della brigata Garibaldi (a sinistra Heinz Brauwers, a destra il suo amico Hans Juergens)
Dopo ottant’anni escono fuori dal silenzio in cui erano stati seppelliti. Si chiamano Rudolf, Gerhard, Jakob, ma nei borghi dove è ancora viva la memoria partigiana sono evocati con i nomi più famigliari di Rodolfo, Gerardo, Giacomo. Nelle fotografie di gruppo colpiscono per i lineamenti affilati e il colore chiaro della pelle. Dimenticati dalla storia, furono capaci di un gesto inimmaginabile, in un punto cieco dell’esistenza stretto tra due alternative spietate: se continuare a vestire i panni dei carnefici o mettere a rischio la propria vita e soprattutto quella dei loro famigliari rimasti in Germania, esposti alle ritorsioni più orrende. Mandati a combattere in Italia, nel pieno della guerra civile, scelsero di togliersi la divisa di Hitler per passare dalla parte giusta della storia.
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Il Pragmatismo del potere
di Walter Siti
Sono noti i pensieri che Pasolini dedicò, nei suoi ultimi anni, a fascismo e antifascismo. Riteneva che il fascismo classico fosse ormai archeologico, superato in capacità incisiva dal nuovo potere della società dei consumi; e a questo nuovo potere, pur ritenendo il termine inadeguato, dava il nome di “vero fascismo”, giungendo quindi a una formulazione provocatoria: «I veri fascisti sono ora in realtà gli antifascisti al potere». Il comizio di fronte a folle oceaniche non funzionerebbe, pensava, su uno schermo televisivo; le parole d’ordine del Ventennio toccavano solo la crosta di chi le ripeteva, mentre l’omologazione imposta subdolamente dai media consumisti di massa entra in profondità e influisce sulla psiche degli individui in modo più creaturale e totalitario.
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Quella scissione «alla livornese»
PCI. Bordiga più di altri sottovalutò il fascismo, respinse l’invito dell’Internazionale a cercare l’unità con i socialisti, impedì ai militanti comunisti di unirsi agli Arditi del Popolo, che intendevano combattere gli squadristi con le armi
di Guido Liguori
Napoli.© Archivio
Il Partito comunista d’Italia – come inizialmente si chiamò il Pci, a significare che voleva essere una sezione dell’Internazionale comunista sorta a Mosca nel 1919 – ha la sua genesi nella Rivoluzione d’Ottobre e dunque nella Prima guerra mondiale, senza la quale la Rivoluzione russa non ci sarebbe stata, né si sarebbe determinata in Italia una situazione per molti versi esplosiva. Dopo la Grande guerra, infatti, gli equilibri sociali e politici erano cambiati.
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La Comune di Parigi, una liberazione di spazio e tempo
Edito da Treccani, un saggio di Kristin Ross, docente di letterature comparate alla New York University. L'autrice indaga l'immaginario politico dell'esperienza cominciata nel marzo 1871. Alcune indicazioni, scrive, sono valide ancora oggi come presagio dell'avvenire.
L’evento della Comune di Parigi, che autogestì la capitale francese per 72 giorni dal 18 marzo al 28 maggio e che fu conclusa con circa 20.000/30.000 fucilazioni, perpetrate dall’esercito francese di Thiers, rimane un simbolo capitale della storia moderna, quale primo esempio di una società organizzata da un potere proletario e ispirata all’immaginario di una vita senza oppressione.
Al di là dei tanti libri che sono stati scritti su quella densissima esperienza sociale, politica ed esistenziale a cominciare dal testo famoso di Marx su La guerra civile in Francia del 1871, ritorna a parlarne e a discuterne oggi Kristin Ross con il volume, uscito in edizione italiana, Lusso Comune. L’immaginario politico della Comune di Parigi (a cura di Mario Pezzella e Sebastiano Taccola, Rosenberg & Sellier, pp. 192, euro 16).