Un Uomo lungo un secolo 

Introduzione a Sante Cannito, Frammenti di Storia altamurana, Torre di nebbia edizioni, 1994

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di Piero Castoro

Abitava nella casa che lui stesso aveva costruito, al numero 35 di via S. Agostino, nei pressi di Porta Bari. Una casa modesta, nelle cui stanze si notava più che la semplicità del mobilio, l’assenza della televisione e della benché minima traccia di effigi sacre. L’oggetto più prezioso consisteva in una libreria dalla cui vetrata si scorgevano edizioni ingiallite di ormai rarissime opere di Camillo Berneri, Enrico Malatesta, Luigi Fabbri, Bakunin, Emma Goldman, Kropotkin, Max Stirner..., poste accanto ai romanzi di Tolstoj, Dostoevskij, Hugo, Zola...

Nella cantina, invece, erano depositati con ordine i suoi utensili di lavoro, con i quali ancor giovanissimo aveva appreso, fino a diventarne un maestro, la difficile arte muraria.
Era nato nel secolo scorso, Sante Cannito, il 28 giugno 1898 in un claustro del Centro Storico di Altamura. Era riuscito a terminare gli studi elementari con il maestro Cherubino Santoro, e questa esperienza, in un paese che contava allora più dell’ottanta per cento di analfabeti, l’aveva segnato così profondamente che ancora molto tempo dopo, scrivendo i suoi Frammenti, ricordava: “Sui banchi di scuola mi fu insegnato che la storia è maestra di vita ed ho cercato di sapere”. Questa passione della conoscenza fu repressa dalla crisi dilagante agli inizi del secolo e dal conseguente impatto violento in cui precipitava l’Europa. All’inferno del primo conflitto mondiale, Sante Cannito partecipò come combattente lungo le trincee del Friuli. Poi, venne il fascismo, a proposito del quale la sua testimonianza non indugia: “Il fascismo fu la fame per tutti i lavoratori”. Questo giudizio lapidario, diluito in alcune pagine dei Frammenti ed approfondito ancor di più nelle innumerevoli discussioni che Sante, su questo punto quasi indomabile, riproponeva all’infinito con i suoi coetanei e con noi stessi, dimostra come quella auspicata conoscenza della storia si sia intanto già trasformata in un impegno nella storia e nella scelta di stare dalla parte dei “dannati”. Mentre la dittatura fascista si appresta a spegnere ogni focolaio di libertà, Sante con una piccola nave dal nome “Italia” si dirige verso l’America, a New York, sulle tracce di suo padre, già emigrato tredici anni prima e di cui non aveva da tempo notizie.
Fu la scoperta dell’America, quella degli emigranti e degli Al Capone, ancor prima della lettura di Kropotkin, a sprovincializzare la sua cultura e ad “aprir(gli) gli orizzonti”. Nel quartiere di Brooklyn, dove abitava insieme a suo padre in una “casetta di legno”, e soprattutto grazie al suo lavoro di muratore, egli venne a contatto con emigranti di varie origini e comprese più a fondo come, al di là della differenza di lingua, di colore o di cultura, i lavoratori subissero la stessa sorte di miseria e di oppressione. L’attività, in difesa dei lavoratori, del grande sindacato americano I.W.W. (Industrial Workers of World), rivendicava, in quel periodo di grandi trasformazioni, la libertà di due sindacalisti italiani arrestati: “Capii benissimo - scrive Sante - che la borghesia si vendicava. Sacco e Vanzetti avevano organizzato i minatori che facevano dodici ore di lavoro al giorno, e dopo tali lotte vinsero la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro e ne facevano otto. (...) Questa è l’America?...” 
Il ritorno in patria due anni dopo fu senz’altro quello di un uomo più maturo e consapevole della condizione umana, di un uomo che aveva scoperto, al di là del sole che limitava la miseria dei contadini poveri del sud d’Italia, altre forme più brutali di povertà: quella dei lavoratori che abitavano i sobborghi metropolitani, nel paese più “avanzato” della modernità. Lì abbracciò la causa di Sacco e Vanzetti e divenne anarchico.
Dell’anarchismo Sante Cannito condivideva oltre ai principi dell’educazione alla libertà e all’autogestione, la scelta necessaria dell’organizzazione. Contro la concezione leninista del partito, inteso come soggetto politico privilegiato che avocava a sé il compito di esprimere e rappresentare la classe operaia, Sante traduceva nella prassi il significato etimologico della parola “partito” (= parte di qualche cosa), mostrando una profonda coerenza verso una delle più genuine concezioni libertarie della politica: quella che identifica il partito con una minoranza agente all’interno della classe e in grado di favorire, come un “lievito vivificatore”, il processo di fermentazione teso alla conquista di più ampie libertà sociali. Sostenne perciò l’USI (Unione Sindacale Italiana), l’organizzazione libertaria dei ferrovieri, la FAI (Federazione Anarchica Italiana), il quotidiano anarchico “Umanità Nova” fondato nel 1920 e le tante riviste libertarie tra cui “Pensiero e Volontà”, il cui direttore, Enrico Malatesta, Sante tanto amava. L’influenza del pensiero libertario aveva certo lasciato qualche traccia anche ad Altamura, se ci si riferisce, come ricorda Sante, all’esperienza dei circoli “Libero Pensiero” e “Leone Tolstoj”. La militanza di Sante Cannito, sia sotto il regime fascista che nelle fasi cruenti della liberazione, dovette essere del tutto particolare.
Nonostante i rapporti con Tommaso Fiore e con altri antifascisti e socialisti, pian piano egli restò, almeno in alcuni periodi, quasi isolato, ma non certo a causa delle sue idee, piuttosto perché era difficile per lui legarsi a partiti di cui non condivideva affatto l’organizzazione gerarchica interna e i metodi di lotta. Sarà difficile dimenticare quell’uomo che camminava svelto col bastone e sempre con qualche foglio di propaganda anarchica in tasca, pronto per offrirlo all’amico o all’interlocutore. Aveva subito, già da ragazzo quando lavorava in una falegnameria, la lesione del timpano dell’orecchio destro, ma in compenso aveva conservato fino alla fine una salute ed una memoria prodigiosa. Con un linguaggio scandito di ritmi d’altri tempi e privo di ogni briciola di volgarità, ricostruiva interi periodi con una esattezza filologica e con tali dovizie di dettagli che, per la sua longevità ed esperienza, era in grado di rievocare intere catene genealogiche, testimoniando fatti e persone altrimenti perduti alla conoscenza e alla memoria.
Al di là delle sue dirette esperienze e contro le abitudini dei suoi coetanei, leggeva per conoscere fin nel profondo la storia contemporanea delle rivolte proletarie, e per scavare nelle cause delle loro vittorie e delle loro sconfitte le verità spesso seppellite dalla storiografia “ufficiale”. La Comune di Parigi, l’esperienza dei Soviet, delle collettività agricole in Spagna, l’autogestione dei Consigli operai, fino alle pratiche libertarie del ‘68 erano per lui non solo date storiche, ma esempi. Una diversa organizzazione del lavoro e della società, come quelle storie dimostravano, era possibile, “ la massa è amorfa, -ripeteva spesso citando Malatesta - e si muove secondo la spinta che riceve”. Di qui la necessità di marcare la presenza libertaria nella società, per smascherare la politica della demagogia e dell’intolleranza. Per questo, anche recentemente, sorrideva sarcastico parlando del “federalismo” di Bossi: “Non erano stati gli anarchici a porre per primi il problema del federalismo nel suo necessario rapporto con la democrazia diretta?”
L’ostinazione di Sante Cannito aveva avuto ancora una volta ragione negli anni ‘70, quando sull’onda delle lotte operaie e studentesche anche ad Altamura si registrava, tra le altre realtà, una presenza anarchica organizzata. Sante visse una nuova giovinezza. Partecipava al lavoro e alle discussioni con tale entusiasmo che noi, allora giovanissimi, lo ascoltavamo con piacere parlare per ore. La sua estrema disponibilità al dialogo, il senso di rispetto e di tolleranza che manifestava con semplicità di fronte agli interlocutori più diversi, contribuivano a frangere il conformismo delle distanze culturali e, soprattutto, l’oggettiva differenza degli anni. Ci si dimenticava, in sua presenza, di stare insieme ad un uomo la cui età comprendeva quattro o cinque volte la nostra; e si riusciva a comunicare con lui, senza difficoltà, ogni argomento, ogni passione. E’ un dato questo che va sottolineato, specie in relazione al progressivo impoverimento, che sempre più registriamo nel nostro tempo, degli spazi e delle forme di socialità e di comunicazione tra “giovani” e “vecchi”. Egli ci ricordava non solo il rispetto e l’amore per la giustizia e la libertà, ma anche, in tempi non sospetti, la necessità di salvaguardare il luogo, il cibo, il clima.... Sante era nei fatti un ecologista ante litteram. Per lui il “progresso” significava soprattutto la liberazione del corpo dalle incrostazioni inquinanti delle ideologie della distruzione e del consumismo, perciò criticava aspramente la disoccupazione al pari dell’eroina. La dignità del lavoro insomma era inscindibile dalla conquista di una migliore qualità della vita, la cui realizzazione occorreva perseguire in concreto, senza attendere il “sol dell' avvenire”, nella molteplicità degli atti e dei gesti che compongono la sfera della vita quotidiana.
La sua coerenza si rileva anche in questo: per quasi mezzo secolo, dopo la morte prematura della moglie, egli, nonostante i numerosi rapporti che intratteneva soprattutto con i più giovani, ha vissuto praticamente solo. Era impossibile tuttavia scoprire qualcosa in lui che potesse essere riferita ad un’etica della solitudine. Mai un lamento, anche nei momenti di maggiore sofferenza, alla morte dell’unico suo figlio, egli esprimeva con modi garbati una certa arte della delicatezza. Sante Cannito amava la vita disperatamente. Forse per questo la sua improvvisa scomparsa, avvenuta il 4 maggio 1994, all’età di 96 anni, mentre era ospite di suo nipote ad Isernia, lascia, a quanti lo hanno amato, un vuoto vero ed incolmabile.

I Frammenti di storia altamurana furono pubblicati, per la prima volta, nel 1980 e, successivamente, nel 1988, in edizioni entrambe ciclostilate e in un numero limitato di copie. La prima parte della presente edizione riproduce integralmente, con qualche lieve correzione, quella del 1988. La seconda parte comprende una serie di scritti, per lo più inediti, trovati in una cartella nella casa di Sante Cannito, dopo la sua scomparsa. Si tratta infatti, per quest’ultimi, di fogli originali scritti a macchina e le cui copie Sante aveva, probabilmente, inviate alla stampa anarchica ( “Umanità Nova”, “Seme Anarchico”, “Volontà”, ecc. ) per la pubblicazione, come è stato possibile, a volte, riscontrare. Al di là degli elementi autobiografici e dei riferimenti a situazioni e svolte epocali della storia italiana ed europea del XX secolo, un contenuto omogeneo o, se si vuole, un filo conduttore dei Frammenti, è possibile individuarlo nella continua trattazione della storia locale. Appunti, giudizi, riflessioni e, soprattutto, cronache di fatti che hanno come oggetto principale la storia di Altamura e del suo territorio. In questo senso i Frammenti rappresentano un documento importante, non solo perché contribuiscono in parte a colmare una lacuna dovuta alla mancanza di studi sull’argomento, ma anche perché offrono al lettore più giovane la possibilità di confrontarsi con una testimonianza diretta di quelle esperienze.
In un’epoca in cui si rischia di perdere il senso di una misura con cui valutare gli eventi di una storia, anche locale; in un’epoca in cui ibridi uomini, sempre più audaci, guardano alla storia come ad un guardaroba da cui tirare fuori, a proprio piacimento, ogni sorta di abito in costume per mascherare vecchie brame di dominio, gli scritti di Sante Cannito ci ricordano invece l’odore di miserie e di inganni, di passioni e di solidarietà, ma anche di un particolare amore per la verità , del valore di uomini onesti e laboriosi che hanno vissuto una storia che è anche la nostra.