Leonardo Sciascia, 100 anni sotto il segno dei libri.

Nel centenario della nascita di Leonardo Sciascia, un ricordo della «felicità di far libri» e della sua avventura editoriale

di Veronica Giuffrè

 

leonardo sciasciaLeonardo Sciascia – Foto di Nino Catalano, marito di Anna Maria Sciascia (Courtesy Famiglia Sciascia)

Leonardo Sciascia, nel centenario della nascita. L’anno che è appena iniziato merita che lo si celebri per ricorrenze felici, come quella di oggi: l’8 gennaio 1921 veniva al mondo Leonardo Sciascia, in un angolo di Sicilia di saline e zolfare, dove gli sarebbe potuto toccare un avvenire da sarto – seguendo le orme di uno zio – se la sorte non avesse avuto in serbo per lui altre trame.

«Autore: Leonardo Sciascia», scriveva sulla copertina di uno dei suoi primi quaderni di scuola, presagendo un destino luminoso tra i libri. Amava la scrittura, a partire dal piacere fisico per gli strumenti dello scrivere – i quaderni, le matite, le penne, l’inchiostro: «Curiosamente, dell’inchiostro ricordo anche il sapore. Forse qualche volta l’ho bevuto». Ma l’incontro decisivo con la letteratura avviene per il tramite del cinema: dodicenne, scopre Luigi Pirandello con Marcel L’Herbier, nella versione cinematografica muta di Il fu Mattia Pascal.

Leonardo Sciascia, una storia che rimane

Pirandello lo avrebbe sempre accompagnato – nella cornice d’argento sullo scrittoio, accanto alla Lettera 22 e all’immancabile pacchetto di Benson & Hedges – offrendogli un modello di ricerca della verità attraverso la parola. Per Sciascia, lo scrittore è colui «che vive e fa vivere la verità, che estrae dal complesso il semplice, che sdoppia e raddoppia – per sé e per gli altri – il piacere di vivere. Anche quando rappresenta terribili cose».

Singolarmente, rispetto ai percorsi di successo che iniziano al sud per sbocciare altrove, la sua è una storia di chi resta. Tentato come tanti altri dalla fuga dalla Sicilia, non si è allontanato dalla terra d’origine mai per più di qualche mese di seguito, e anzi ne ha fatto punto di osservazione ideale e metafora del mondo.

Sciascia racconta Sciascia

Libri come fichidindia

Scrittore, saggista, giornalista, politico: Leonardo Sciascia è stato tante cose, ma a guardare la sua vita da un’angolazione meno nota, si può scoprire che molta ne ha spesa sui libri degli altri, attraverso il mestiere di editore. La sua avventura editoriale inizia nel 1945 a Caltanissetta, con un suo omonimo, Salvatore Sciascia, fondatore di una casa editrice e poi di una rivista, “Galleria”, di cui gli affida le sorti: è così che avvengono i primi e più importanti incontri letterari, con Calvino, Pasolini, Roversi, Romanò.

Dopo la stagione nissena, sarà definitivamente l’esperienza palermitana intrapresa con Enzo ed Elvira Sellerio – sin dalla fondazione della casa editrice, nel 1969 – a permettergli di coltivare la sua passione per l’editoria e realizzare così quell’«utopia editoriale» tutt’oggi sinonimo di eleganza e raffinatezza. Un tentativo più che riuscito di smentire la convinzione diffusa che «stampare libri in Sicilia è come coltivare fichidindia a Milano».

Sciascia e l'arte del risvolto

Per Sellerio, Sciascia è stato direttore editoriale, consigliere e lettore, consulente, ufficio stampa e capo delle pubbliche relazioni, persino esperto in questioni pratiche – stendeva schede per i venditori, redigeva rendiconti, abbozzava modelli di lettere contrattuali. Ma il suo più grande merito è di aver fissato lo stile della casa editrice, aver dato l’impronta nel trattare il libro: ha progettato collane votate alla perdurabilità e al recupero della memoria, sempre con la convinzione che la scelta di un libro da pubblicare fosse un atto di critica, di volta in volta esplicitato nel risvolto.

E proprio la scrittura dei testi editoriali – i paratesti, per dirla con Genette – è stata esercitata da Sciascia con perizia di artigiano: i suoi risvolti travalicano continuamente i margini di servizio e tendono a stabilire richiami tra un libro e l’altro. Li scriveva quasi tutti lui, anche quando si trattava di sue proprie opere, e interveniva sempre su quelli scritti dalla redazione.

Per chi ne ha avuto la fortuna, dev’essere stato sorprendente osservare Sciascia in casa editrice, intento a scrivere un risvolto di copertina: usava la sua grande stilografica – una Waterman con un enorme pennino d’oro – e vergava placidamente su un foglietto il suo commento. Lo faceva con una scrittura lentissima e spigolosa e una velocità di composizione, al contrario, inimmaginabile. Non rileggeva mai quello che aveva scritto. Dalla «felicità di far libri», che Leonardo Sciascia ha perseguito e realizzato, è possibile trarre insegnamento, prendendo in prestito proprio le parole di uno dei suoi risvolti – quello di Cere perse di Gesualdo Bufalino – che ci invita a ricercare libri godibilissimi, «del godimento particolare che dà la letteratura quando l’intelligenza e lo spirito vi si intessono».

STYLE Magazine  7 gennaio 2021