I 50 anni della mensa bambini proletari di Napoli

di Domenico Sabino 

Sono trascorsi 50 anni, quando il 9 marzo 1973 parte una vera e propria rivoluzione dal basso mai realizzata finora a Napoli, che porta alla nascita della «Mensa dei Bambini Proletari». È un progetto politico, sociale, pedagogico e culturale, che si basa sul volontariato e sulla sottoscrizione e che vede come artefici esponenti di Lotta Continua, cattolici del dissenso, intellettuali. La Mensa si trova nel quartiere storico di Montesanto, precisamente a vico Cappuccinelle n.13, un luogo che fino a quel momento fa paura ai bambini non appena i genitori lo nominano: «Si nun faje ’o bravo, ti rinchiudo alle Cappuccinelle».

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Foto Peppe Avallone, una manifestazione

I locali, occupati dai militanti di Servire il Popolo, sono presi in affitto a 80 mila lire al mese. La struttura, che consta di 7 stanze e un giardino, oltre ad assicurare almeno un pasto al giorno spesso non solo ai bambini ma anche ai genitori, offre innanzitutto la possibilità di fare doposcuola, laboratori di teatro, pittura, fotografia, scrittura, giornalismo e musica. Le tecniche didattiche s’ispirano al pedagogista francese Célestin Freinet, al filosofo tedesco Walter Benjamin, alla scuola di don Lorenzo Milani, al metodo Montessori, ai gruppi MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e CEMEA (Centri d’Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva).

La Mensa aggrega quotidianamente 150/200 bambini, nutriti non solo nel corpo ma anche culturalmente, dal momento che a Montesanto il diritto all’infanzia è spesso negato e la dispersione scolastica raggiunge livelli elevati. L’obiettivo degli educatori è infatti fornire loro gli strumenti per acquisire consapevolezza dei propri diritti e per pensare con la propria testa. Tra gli educatori, tutti volontari, spiccano Geppino Fiorenza, che giovanissimo partecipa alle lotte dei baraccati di via Marina per il diritto alla casa e oggi lega il proprio nome a Libera e alla fondazione Giancarlo Siani; Cesare Moreno, che viene da Lotta Continua e oggi come ieri può definirsi un maestro di strada; Lucia e Cinzia Mastrodomenico, vicine al movimento femminista, che allestiscono una sfilata di moda avente come sarte e modelle le immigrate del quartiere; Goffredo Fofi, che organizza seminari all’interno della Mensa; Peppe Avallone, che offre la propria esperienza in campo fotografico; Berit Frigaard che, portando con sé a Napoli l’esperienza svolta nelle periferie povere di Oslo, sua città d’origine, ha l’incarico di raccogliere fondi mediante la sottoscrizione proprio su un quotidiano di Oslo ed è la prima a raccontare a un giornale norvegese della nascita a Napoli di qualcosa di straordinario e unico.

A proposito di sottoscrizione, sin dall’inizio la Mensa può contare su compagni-sostenitori di elevato spessore socio-culturale e politico, come per esempio, giusto per citarne alcuni, Vera Lombardi, Eduardo De Filippo, Elsa Morante, Dario Fo, Franca Rame, padre Ernesto Balducci, Fabrizia Ramondino, Sergio Piro, Erri De Luca, padre David Maria Turoldo, Maurizio Valenzi. Tutti muovono, dunque, verso un solo fine: il bene dei bambini. In primis, contrastare lo sfruttamento minorile e attività lavorative come la fabbricazione a domicilio di borse e scarpe con materiale altamente nocivo. Fenomeni, ahimè, tuttora persistenti! Un altro aspetto importante è l’intenzione degli educatori di riappropriarsi degli spazi del quartiere e riadattarli alle esigenze dei bambini e della gente della zona. Si organizzano, infatti, feste popolari (Natale, Sant’Antonio Abate, Carnevale, il 25 Aprile, il 1° Maggio) che tutti possono cogliere come «occasione di rottura contro la violenza della conservazione esistenziale (...), come spazio in cui si misura la capacità di socializzare e come saggio di vita nuova». Sono parole attraverso cui l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani analizza in maniera puntuale le attività della Mensa proposte dal collettivo degli educatori.

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Il 1973 non è solo l’anno in cui a Napoli nasce la «Mensa dei Bambini Proletari», ma è anche l’anno in cui scoppia l’epidemia di colera in tutta la regione. In tal contesto la Mensa diventa Centro di vaccinazione e usufruisce delle scorte di vaccino fornite dall’ospedale Cotugno. Tuttavia, gli educatori non mancano di denunciare le responsabilità politiche relative alle vere cause che hanno provocato il colera, vale a dire la pessima igiene, le fogne a cielo aperto, «i regi lagni borbonici». Viene aperto anche un presidio sanitario, chiamato Centro di Medicina Popolare, dove sono presenti specialisti come psichiatri, ginecologi, cardiologi; un’iniziativa molto apprezzata dagli abitanti di Montesanto perché sentono tutelata la propria salute. Nasce, inoltre, un Centro Antifascista Proletario in risposta ai frequenti e violenti attacchi dei militanti di estrema destra. Tutto quanto gravita intorno alla Mensa, affinché ci sia un riscatto socio-culturale e politico del quartiere, contribuisce energicamente all’elezione nel maggio 1976 di Maurizio Valenzi, vale a dire del primo sindaco del Partito Comunista a Napoli. La fiducia riposta in lui è tangibile il mese successivo quando viene invitato dagli educatori della Mensa a presenziare al Convegno ‘Animazione e Territorio’. Appassionate risuonano le parole pronunciate da Valenzi: «Vi ringrazio anche a nome del Partito (...). Grazie anche al vostro impegno siamo riusciti a strappare alla DC il governo di questa città», e ancora più incisiva e concreta risulta la decisione di destinare loro il primo contributo pubblico di 25 milioni di lire. Le intenzioni degli operatori sono tuttavia quelli di ripetere l’esperienza della Mensa in tutti i quartieri popolari napoletani per una presa di coscienza in grado di osteggiare il dilagare della camorra. Un progetto, purtroppo, che Valenzi non riuscirà a realizzare perché accerchiato dal potere dei burocrati e tecnocrati democristiani. La Mensa, nata nel quartiere Montesanto, divenuta luogo di aggregazione di una sinistra extraparlamentare, durerà circa un decennio e una delle serate più indimenticabili sarà il concerto nel giardino con Sergio Bruni e Salvatore Palomba.

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Sono trascorsi 50 anni e ancora oggi, se qualcuno chiede «Dove stava la Mensa?», rispondono «Ah...’ncopp’ add’ ’e comunisti!?!». È quanto resta di ciò che ha rappresentato la Mensa nella memoria collettiva. Resta solo questo, purtroppo, dal momento che oggi ospita un elegante Bed and Breakfast, frutto di un’inarrestabile turistificazione. Svanisce, così, nel consumismo più sfrenato il ‘sogno comunista’; quella spinta rivoluzionaria per i bambini proletari che in quella travolgente stagione hanno fatto della Mensa la propria Comune.

Alias 22 luglio 2023