La Fine delle Certezze

di Sergio Labate*

Se dovessi spiegare a mio figlio il gigantesco inganno dell’abbraccio tra il moderatismo e la sinistra, non servirebbero astruse descrizioni teoriche.

Schlein

Basterebbe la forza dell’esempio. Raccontargli ciò che noi abbiamo perduto e che lui non ha mai conosciuto, per mettere davanti ai suoi occhi la scena di una metamorfosi estrema che è l’esito beffardo del moderatismo. Da un lato un mondo smarrito e dall’altro un mondo inatteso (non solo nel senso che nessuno se l’aspettava ma anche nel senso che nessuno l’attendeva come una speranza). Al mondo smarrito appartenevano alcune certezze granitiche – dogmi di una fede secolare – che erano confermati e non smentiti da ciò che accadeva nella società: la fiducia nella Costituzione antifascista, la certezza che la forma pubblica della protezione sociale fosse un argine per i più vulnerabili, l’idea che la pace fosse un’eredità comune postbellica, la convinzione che la scuola servisse alla formazione di un cittadino e non di un lavoratore sottopagato, la scommessa sull’Europa come terreno di avanzamento dei diritti e non come esperienza della loro erosione, il principio per cui l’aumento delle diseguaglianze fosse un problema e non una risposta per le nostre società.

Mio figlio, abitante di un mondo che ha capovolto queste certezze granitiche, non saprebbe neanche di cosa stia parlando. Scambierebbe ciò che appartiene saldamente alla mia memoria con un contenuto di fantasia. Per lui non c’è alcuna differenza tra l’esistenza di un supereroe Marvel e la credenza che se uno sta male può ricevere tempestivamente le cure migliori in un ospedale qualsiasi, al di là della propria disponibilità economica. Sia il supereroe sia la sanità pubblica non sono che creature fantastiche. Per le generazioni a cui affidiamo il mondo futuro quel mondo non è perduto, non è mai esistito.

La dissonanza generazionale

Perché ricordo tutto questo, anche se scontato? Perché questa consapevolezza di una dissonanza generazionale dovrebbe essere alla base della discussione sulla forma che può avere un partito di sinistra, a partire dal surreale attaccamento di alcuni alle categorie di moderatismo, riformismo, centrismo.

Proprio sbandierando questi princìpi politici i partiti di sinistra hanno contribuito fortemente a questa transizione trentennale. Il che rende molto chiara un’evidenza spesso taciuta: che non c’è nulla di più radicale del cosiddetto moderatismo. Raramente nella storia recente abbiamo avuto delle trasformazioni sociali così sconvolgenti e repentine. In nome del moderatismo e della sua presunzione di evitare ogni gesto rivoluzionario  attraverso  il perbenismo delle riforme, la storia di questi trent’anni è stata la storia di una controrivoluzione per cui tutto ciò che noi davamo per scontato è diventato non solo inattuale, ma anche deriso.

La fine del progresso

Certo, i partiti di sinistra non sono gli unici responsabili e se la son dovuta vedere con il crollo del loro sistema di riferimento, l’individualismo sempre più diffuso, la rivoluzione digitale che ha trasformato sia la partecipazione sia la socialità. Ma in questi trent’anni i partiti di sinistra hanno avuto due posture fondamentali.

Hanno all’inizio cavalcato con entusiasmo l’idea di un ciclo moderato che potesse finalmente fare le riforme senza il timore della violenza, essendo decaduta ogni alternativa. Il moderatismo e il riformismo sono diventate parole chiave di una trasformazione del mondo a cui la sinistra ha aderito con entusiasmo quasi sacerdotale. Se non fosse che a un certo punto ci siamo resi conto che non c’era nulla né di moderato né di riformista in quella professione di fede del moderatismo e del riformismo. Il moderatismo è diventato ben presto un pretesto per perseguire riforme estreme, quelle che appunto hanno sostituito un ordine del mondo con un altro. Invece di permettere un avanzamento, il riformismo è stato il dispositivo politico che ha legittimato la regressione della società quanto a equità, protezione sociale, autonomia dalla sfera economica. In questa prima fase il moderatismo e il riformismo di sinistra sono stati complici della fine di ogni ipotesi progressiva.

Il disincanto

Disorientati dalle conseguenze radicali del moderatismo, i partiti di sinistra hanno negli ultimi anni sostituito l’entusiasmo con il disincanto. Alla sinistra neoliberale si è sostituito la sinistra catecontica. Una nuova versione, più sconsolata ma non meno dannosa, del moderatismo e del riformismo. Nel mondo inatteso che ci è toccato in sorte, l’unico compito rimasto ai partiti di sinistra è limitare i danni, moderare le ingiustizie, frenare la dissoluzione della solidarietà, salvare quel poco che si può ancora salvare. Alla sinistra toccherebbe il compito di rallentare la fine del vecchio mondo, non di più.

Essere moderati è diventato così un compito di resistenza, non più di fede. 

Finalmente quel mondo a cui alla fine degli anni Novanta la sinistra aveva aderito con entusiasmo è stato riconosciuto per quel che è: un inganno controrivoluzionario in grado di modificare l’ordine sociale in forma iniqua. Ma il lessico del moderatismo e del riformismo è rimasto al centro anche di questa presa di coscienza: se anche è sbagliato, quel mondo è ormai irreversibile. E così possiamo soltanto moderarlo, possiamo procedere per piccoli passi e con piccole riforme in grado di frenare le ingiustizie e renderle un po’ meno ingiuste.

Questo è ciò che è in gioco oggi nel destino dei partiti di sinistra. O l’affermarsi definitivo di un partito moderato o il suo superamento. Una disputa tra chi pensa che non ci sia altra opzione che un partito che freni per quanto possibile l’inesorabile avanzata del mondo inatteso in cui ci troviamo a vivere e chi pensa che sia compito della sinistra riconsegnare alle nuove generazioni la speranza in quegli ideali che appartenevano al nostro mondo smarrito.

Sono certo che a tanti lettori queste mie parole possano sembrare utopiche e poco realistiche. È precisamente questo il punto: chi oggi rivendica il moderatismo crede a una sinistra sconsolata, che può limitare i danni o poco più. Che vuol dire essere moderati oggi? Vuol dire credere che quei dogmi della fede secolare che appartenevano alla sinistra possano ormai essere conosciuti solo in due forme: quella della nostalgia per le mie generazioni e quella della fantasia per la generazione di mio figlio. Invece io credo che non bastino né l’una né l’altra. Sta alla sinistra trasformare la nostalgia e la fantasia in speranza concreta.

*Filosofo

Domani, 15 marzo 2024