Per il movimento delle città-stato private è un incredibile colpo di fortuna. Sono anni che cerca d’imporre l’idea estrema secondo cui i ricchi contrari alle tasse dovrebbero fondare dei feudi personali, un nuovo paese su un’isola artificiale in acque internazionali o una “città della libertà” dove fare affari senza vincoli, come Próspera, in Honduras, che è un incrocio tra una comunità esclusiva e una spa.
Eppure, nonostante il sostegno di pesi massimi della finanza come Peter Thiel e Marc Andreessen, i sogni degli estremisti libertari si sono più volte arenati: a quanto pare la maggior parte dei ricchi con un po’ di amor proprio non vuole vivere su una piattaforma petrolifera galleggiante, neanche se permette di pagare meno tasse. Quanto a Próspera, forse va bene per una vacanza e qualche “trattamento” per il corpo, ma il suo status giuridico extranazionale è stato contestato in tribunale.
Ora all’improvviso questo gruppo un tempo secondario di capitalisti secessionisti si vede spalancare le porte dal centro del potere globale. Il primo segno che le cose stavano cambiando è arrivato nel 2023, quando Donald Trump, in vista di un ritorno alla Casa Bianca, ha promesso di organizzare un concorso per creare dieci “città della libertà” sul territorio degli Stati Uniti. All’inizio la proposta è passata inosservata, persa nel fiume di dichiarazioni provocatorie. Ma da quando la nuova amministrazione si è insediata, gli aspi- ranti fondatori di nuovi paesi hanno cominciato a fare pressioni per trasformare la promessa di Trump in realtà.
In fermento
“A Washington c’è un gran fermento”, ha detto compiaciuto Trey Goff, il capo del progetto Próspera, dopo una visita al congresso. La legge che spianerà la strada alle città-stato private dovrebbe essere pronta per la fine dell’anno, sostiene Goff.
Ispirate da una lettura distorta dei testi del filosofo politico Albert Hirschmann, persone come Goff, Thiel e l’investitore e scrittore Balaji Srinivasan rivendicano il diritto all’“uscita”: cioè la possibilità, per chi può permetterselo, di sottrarsi agli obblighi della cittadinanza, in particolare alle tasse e all’intralcio delle leggi. Riprendendo e rinnovando le vecchie prerogative degli imperi, sognano di smantellare i governi e di ridisegnare il mondo intorno a paradisi ultracapitalisti dove la democrazia non esiste e il controllo spetta esclusivamente ai più ricchi, protetti da mercenari privati, serviti da robot dotati di intelligenza artificiale, e finanziati da criptovalute. Qualcuno potrebbe sottolineare l’atteggiamento contraddittorio di Trump, che è stato eletto grazie a un programma politico riassunto dallo slogan “prima gli Stati Uniti”, e ora appoggia l’idea di territori autonomi governati da sovrani miliardari. E si è parlato molto dello scontro tra Steve Bannon, l’ideologo populista e nazionalista del Make America great again (Maga), e i miliardari alleati di Trump, che Bannon ha definito “tecnofeudatari” a cui “non frega un cazzo degli esseri umani”, figuriamoci della nazione. All’interno della raffazzonata coalizione trumpiana ci sono certamente divergenze su molti temi, a cominciare dai dazi. Nonostante questo, le idee di fondo forse non sono così incompatibili come sembrano.
La congrega dei paesi startup prevede un futuro segnato da crisi, penuria e tracolli. I possedimenti privati sono quindi sostanzialmente capsule di salvataggio fortificate, progettate per permettere a pochi prescelti di sfruttare ogni possibile lusso e opportunità di ottimizzazione umana, offrendo a loro e ai loro figli un vantaggio in un futuro sempre più barba- ro. In parole povere, le persone più poten- ti del mondo si preparano alla fine del mondo che loro stesse stanno freneticamente accelerando.
È una visione del mondo non molto diversa da quella ormai diffusa della nazione fortificata, sostenuta dalla destra radicale in vari paesi, dall’Italia a Israele, dall’Australia agli Stati Uniti: in un’epoca di pericoli costanti, i movimenti suprematisti stanno cercando di trasformare dei paesi relativamente ricchi in bunker armati. Posti dove le persone indesiderate sono brutalmente espulse o incarcerate (anche a costo di confinarle a tempo indeterminato in colonie penali extranazionali, dall’isola di Manus a Guantánamo) e in cui il potere si appropria con la forza di terre e risorse (acqua, energia, minerali fondamentali) necessarie per resistere alle crisi future.
In un’epoca in cui le élite un tempo laiche della Silicon valley tutto a un tratto trovano Gesù, entrambe queste visioni del mondo – lo stato privato con accesso privilegiato e la nazione-fortezza per le masse – hanno molto in comune con l’interpretazione cristiana fondamentalista del “rapimento” biblico, in cui i fedeli ascendono al cielo in una città dorata, mentre i dannati rimangono sulla Terra per affrontare una battaglia apocalittica. Se vogliamo essere all’altezza di questo momento cruciale, dobbiamo prendere atto che siamo di fronte a un avversario nuovo: il fascismo millenarista.
Propaganda oscena
Riflettendo sulla sua infanzia durante il regime di Benito Mussolini, lo scrittore e filosofo Umberto Eco osservò in un saggio che il fascismo ha tipicamente il “complesso di Armageddon”, la fissazione di sconfiggere i nemici in una grande battaglia finale. Ma il fascismo europeo del primo novecento aveva anche la prospettiva di una futura età dell’oro successiva al bagno di sangue, che per i suoi seguaci sarebbe stata segnata dalla pace e dalla purezza. Oggi non è così.
I movimenti contemporanei di estrema destra – economicamente e ideologicamente impegnati a peggiorare le minacce legate al clima, alla corsa agli armamenti nucleari, all’aumento vertiginoso delle disuguaglianze e alla diffusione di un’intelligenza artificiale fuori controllo – non offrono nessuna speranza credibile per il futuro. All’elettore medio propongono solo vecchie ricette di un passato che non c’è più e il piacere sadico del dominio su un gruppo sempre più numeroso di “altri” disumanizzati. In questo contesto l’amministrazione Trump si impegna a diffondere un flusso continuo di propaganda oscena, generata anche dall’ia. L’account ufficiale della Casa Bianca carica su X filmati di immi- grati sui voli di rimpatrio, con un sottofondo di rumore delle manette e l’etichetta “asmr”, che indica i suoni usati per calmare il sistema nervoso. Lo stesso profilo ha condiviso con parole trionfanti – “Shalom, Mahmoud” – la notizia dell’arresto di Mahmoud Khalil, uno stu- dente con un visto permanente che aveva partecipato alle manifestazioni a favore della Palestina alla Columbia university. Ci sono poi i servizi fotografici
– tra lo chic e il sadomaso – della segretaria alla sicurezza nazio-
nale Kristi Noem, ripresa a ca-
vallo lungo il confine tra Stati
Uniti e Messico, di fronte a una
cella affollata in un carcere del Salvador o armata di mitragliatrice mentre arresta degli immigrati in Arizona.
È un fenomeno terrificante nella sua perversione, ma permette anche di imma- ginare grandi possibilità di resistenza. Scommettere contro il futuro in questo modo vuol dire tradire i nostri doveri fon- damentali verso il prossimo, verso i figli che amiamo e verso qualsiasi altra forma di vita con cui condividiamo il pianeta. È