Uncategorised
- Categoria: Uncategorised
«La vostra generazione è in lutto perché voi più del McDonalds, o di videogiochi, dei social cretini non comprendete. Fatica, dedizione, sacrificio, rinunzia sono tutti termini cancellati dal vocabolario».
«La vostra estinzione sarebbe un bene per tutti ma invece di cancellare soltanto i vostri figli dal progetto, potreste considerate pure un'altra scelta che azzera la vostra impronta ecologica: domani mattina spogliatevi, infìlatevi nel cassonetto del’umido. Passa il comune, pensa a tutto lui» (questo l'ha scritto un poco noto politico di destra ed è il mio pieferito).
Quelli che avete appena letto sono solo alcuni degli oltre 400 commenti appollaiati sotto ad un tweet, postato dall’account di questo quotidiano e contenente il link a un articolo.
Il pezzo in questione l'ho scritto io, si intitolata La mia generazione è in lutto per i figli che non avrà mai e aveva un obiettivo semplice: dire che la mia generazione, poco più e poco meno che trentenni, si sta interrogando se fare dei figli abbia senso. Il nostro pianeta sta morendo, la crisi climatica è vicinaa un punto di non ritorno e la domanda, nella nostra testa, è sora spontaneamente,e in modo genuino: se la situazione è de- stinata a peggiorare, e lo è, per quale ragione dovremmo mettere al mondo altri esseri umani, che tipo di esistenza potremmo mai dare loro? È un quesito facile, che riguarda la mia generazione—non tutta no, ci tengo a sottolinearlo, questo: non voglio assurgermi a nulla solo riportare il dubbio che tanti di noi hanno. Eppure chi ha commentato, che temo il pezzo non l'abbia letto e si sia limitato al titolo, ha reagito con una rabbia che posso interpretare solo con la paura di chi si vede attaccato. Perché però si è innescato questo meccanismo? La spiegazione più semplice è che si tratti di banali leoni da tastiera («stamattina non ho nien- te da fare, allora mi tuffo sui social e mollo un po' di bile qui e li»), temo, però, ci sia dell'altro, che dietro questi commenti ci siano ragioni più profonde.
Lo scontro
È qualcosa a cui ho pensato quando, bazzicando i profili dei commentatori, ho notato che molti hanno un'età compreso tra i cinquanta e i settant'anni sono parte della vecchia guardia, insomma E lì mi si è accesa la lampadina, e ho realizzato: in atto c'era uno scontro generazionale. Da una parte della barricata noi appena arrivati, la cui percezione del mondo è di un edificio che va a fuoco, dall'altra loro, che ci vedono come lamentosi e viziati ragazzini senza spinadorsale.
Le generazioni non riescono a comunícare ed è qualcosa di fisiologico, basta tornare indietro nel tempo per capirlo: il passaggio di testimone non è mai semplice. Da una parte ci sono i più giovani, che si lamentano di ritrovarsi tra le mani una situazione difficile sotto tanti punti di vista e che chiedono che vengano apportate modifiche a un mondo che necessita di nuovi assetti, nuove politiche più adatte ai tempi e agli stili di vita. Dall'altra i meno giovani, che hanno la sensazione d'essere redarguiti sul lavoro svolto finora che si vedono recriminati sebbene ai propri figli abbiano dato tutto ciò che era nelle proprie possibilità e che dopo un'esistenza di sacrifici si sentono dire che le cose, così come sono, non vanno comunque bene. Non è níente di nuovo succede ormai da tantissirni anni. Le generazioni, appunto, non sanno comunicare tra di loro. Io, peró, un tentafivo io comunque voglio farlo.
L'immaginario
Chi siamo per voi, noi quasi trentenni? Siamo i bamboccioni. Quelli che stanno infrattati incasa di mamma e i papà per troppo tempo, che nella classifica europea lasciano casa tra gli ultimi e non ne vogliono sapere nulla di diventare adulti cominciare una vita Siamo i rompicoglioni. Quelli che si lamentano quando viene offerto loro un impiego dalla paga bassa perché lagavetta non la vogliono fare e pretendono di trovare la tavola già apparecchiata. Siamo i molesti. Quelli che in un giorno qiualsiasi invece di cercarsi un lavoro, montano le barricate in autostrada o imbrattano, vandalizzano i monumenti (il ministro Matteo Salvini, parlando degli attivisti di Ultima generazione, ha scritto Quelli che dicono sempre NO a tutto, quelli del NO ad ogni opera umana per mettere in sicurezza i fiumi, i laghi, i boschi,le campagne e le città sono un danno per l'ambiente e per l'Italia. Vandali, patetici con molto tempo líbero).
Siamo gli immaturi. Quelli che preferiscono farsi uno Spritz a fare un figlio, e che pur di non fare- up di pargoli, danno nomi pro- pri di persona at loro cant; cose dicui ècertalaministraEugenia Roccella Siamo i viziati. Quelli che si lagnano degli affitti trop- po cart e, cami›eggiando come imbeõlliinuniveisităpretendo- no che venga fatto qualcosa Secondo voi, noi siamo questo.
Nientedi piùdistantedalla real- ta Generazione crisi, ecco cos'è la nostrx Una generazione cre- sciuta net segno della crisi. Eco- nomiœ,lavorativa,politicaeam- bientale Provateci, voi a edifica- re il palazzo dellavostraesisten- zapoggiandosudellebasicosìla- bili, cœtruendovi sufondamen- ta chetraballanoa causadi crisi, ormai, strutturali. Non soltanto èdifficileconcretamente,maan- che psicologicainente Siainoquelli che lascianoil nido tardi,èvern dopodinoi,in Euro- pe solo altri cinque paesL Ma non è un dato che dipende da una nostra mancanza di volon- tà ( cosavi fa ciedereche provia— moildesideriodirimanereinca-
strati in casa dci nostri genitori finoatrent'anni?),propriono:di- pende dall'assenza di certezze economiche. Secondo Il Sole 24 ore, nel2020la retribuzione net- taaunannodallalaureaè,inm+ diadi l.27oeuro, secondoil New York Times, la Generazione Z — quellasubitosuccessivaallamia
— nonriescea permettersi dipa- gare l'affitto di iina stanza: ima stanza, e nienPaltro.
5iamo quelli che si lamentano quandovieneoffertolorounim- piegodallapagabassaèvero, pe- rò — perdonatemi se lo sottoli- neo— gut s'innesca un cortoni-
cuito feel VOStiØ stesso l'agiOIld—
mento: acœttassimo dilavorare con un conoatto a tem¡›o deter- minato, peruna paga che,aconti
fatti, non ci consentirebbe di vi- veresoli1a¡›ossibi1itàdi lasciare il nido non l'avreinmo: un cane che si morde la coda Siamoquellichemontanolebar- ricate in autœtrada e imbratta- noimonumenti, èvero,¡›eróque- sto piaiieta lo abitate anche voi mipare,ese cerchiamo di attira- re lavostra attenzionesullacrisi climatica dovreste esserci solo grati; a tal proposito, ho rivisto DONE look up, di recente dategli un'occhiata,ecapiretelafrusoa- zione che senfiamo dentro.
Edunque no, ministro Salvini: il dannoper1’Ita1ianonsonoima- nifertanti di Ultima generaziœ ne,machi,comeunagrandepai- te del governo di cut lei fa paite, si ostina a negare che la crisi cli-
- Categoria: Uncategorised
- ar« «Consiglierie a chi la pensa così da buttarsi giù di una rupe» «Io non capiscoperchè gli autori di
- Consiglierei a chi la pensa così di buttarsi da una rupe». «Io noncapisco perché gli autori di questi
- Categoria: Uncategorised
NAPOLI — Certi bambini crescono in mezzo alle pistole. Ma queste non sono le pagine del romanzo scritto più di vent’anni fa da Diego De Silva, qui sono le carte delle inchieste di camorra a raccontare che, a Napoli e nella sua area metropolitana, troppo spesso anche i più piccoli si ritrovano, loro malgrado, al centro di pericolosi giochi criminali. «Non dobbiamo meravigliarci, purtroppo — avverte Cesare Moreno, presidente del progetto dei “Maestri di strada” — perché accade quotidianamente. Chi appartiene a una famiglia malavitosa finisce per vedere armi tutti i giorni e quasi si convince che facciano parte dell’arredo».
Ad Acerra, diciotto mesi fa, le microspie piazzate nell’abitazione di un affiliato a uno dei clan della zona captano questa scena: un bimbo di 7 anni seduto sulle ginocchia del padre. Il genitore sfoglia un giornale e scherza con il figlio. Indica una foto e gli chiede: «Questo chi è?». E poi un altro. Il bambino li riconosce entrambi chiamandoli per nome. Ma quelli fotografati in prima pagina non sono calciatori, né personaggi dello spettacolo, bensì gli arrestati in un blitz antimafia.
Ancora più scioccante è ciò che accade qualche mese prima, quando quello stesso bambino torna a casa e racconta alla madre di aver visto un arsenale in casa del nonno: «Stavano con le pistole, stavano caricando, Tre, quattro, cinque pistole. Un caricatore pieno di botte. Se lo potevo fare veramente, mi rubavo la pistola», commenta. È ancora troppo piccolo, dunque parla senza preoccuparsi del fatto che, in quel momento, sono presenti anche altre due persone, estranee al nucleo familiare. La madre si preoccupa soprattutto per questo e prova a cambiare discorso. Il bambino però insiste: «Mamma, io adesso sono entrato, nel salone... le stavano a caricare». La donna a quel punto lo rimprovera: «Ti credo ma devi stare zitto». Poi rincara la dose: «Ti faccio andare in carcere a te, mica va- do io. Ti faccio portare in collegio». Poco dopo, il bimbo ricostruisce l’accaduto anche al padre: «E allo- ra, vado dentro dal nonno. Ci sta quello che lavora... piglia e caccia la pistola sulla tavola. Tre pistole, una pistola, cinque pistole, colpi... col- pi. Poi, sulla tavola, un caricatore carico, pieno di botte. Tre botte dentro». Il pm Giuseppe Visone, titolare delle indagini, ha trasmesso gli atti alla magistratura minorile che dovrà valutare le iniziative a tu- tela del bambino e lo stesso hanno fatto i pm Stefania Di Dona e Salvatore Prisco, che coordinano l’inda- gine dove è emerso un altro episo- dio. Siamo a Bagnoli, periferia occi- dentale di Napoli, settembre 2022. Nel quartiere il clima è diventato pesante. Il clan camorristico guida-
to da Alessandro Giannelli ha biso- gno di armi e dal carcere il boss, uti- lizzando un cellulare, organizza una “staffetta” per ritirare mitra e pistole. Incarica sua padre e una 23enne, di andare all’appuntamen- to. E ordina: «Andate là con due macchine, una lei e una voi. Falle portare anche il bambino». Si riferi- sce al figlio di pochi mesi della ra- gazza, usato «al fine di eludere i controlli», sottolineano gli inqui- renti. Le armi vengono consegnate in un garage le immagini riprendo- no anche la ragazza che «preleva il figlio dell’auto e lo porta con sé, ver- so l’uscita». Poi la 23enne va a casa, pulisce le pistole e scatta qualche foto mentre le tiene in pugno.
«Se dovessi scrivere oggi “Certi Bambini” — argomenta De Silva — sa- rebbe molto più violento. Il protago- nista, Rosario, era un personaggio quasi romantico, programmato co- me un elettrodomestico, un robot, che si ritrova quasi a sua insaputa trascinato dagli eventi, fino a diven- tare un soldatino di camorra. Non a caso il titolo originale era “Le istru- zioni di Rosario”. Adesso, invece, il protagonismo dell’infanzia nelle at- tività criminali è molto più profon- do. La camorra mira a un’adesione afflittiva, fisiologica, con modelli di comportamento molto precisi».
Ne ha viste tante, Cesare More- no: «A scuola — racconta — ho avuto bambini che, nell’intervallo, gioca- vano al carcere: perquisizione, col- loquio, domandina. Una volta un alunno di 9 anni mi raccontò che aveva accompagnato il nonno a commettere una rapina». Moreno invita ad essere realisti: «Togliere i bambini alle famiglie rappresenta una soluzione estrema. Però si può lavorare per creare, in ogni quartie- re, un luogo di vita diversa, un’oasi di pace in una situazione di conflit- to. Non riusciremo ad eliminare la guerra, ma possiamo ricavare degli spazi di pacificazione». E con quel bambino che accompagnò il nonno rapinatore come è finita? «Diventa- to grande, ha denunciato i genitori. Però nel frattempo si era già perso, ha trascorso buona parte della sua
cio andare in carcere a te, mica va- do io. Ti faccio portare in collegio». Poco dopo, il bimbo ricostruisce
l’accaduto anche al padre: «E allo- ra, vado dentro dal nonno. Ci sta quello che lavora... piglia e caccia la pistola sulla tavola. Tre pistole, una pistola, cinque pistole, colpi... col- pi. Poi, sulla tavola, un caricatore carico, pieno di botte. Tre botte dentro». Il pm Giuseppe Visone, ti-
Bambini sempre più abituati a vedere familiari con le armi: le inchieste svelano come assimilano
i modelli criminali
dello che cercava. Così schizzò un bozzetto che avrebbe delineato le sembianze del personaggio.
Ancora qualche anno fa, invitato a mostre ed eventi dedicati al fumet- to, Polenghi si schermiva: «Mai avrei immaginato di dare il mio volto al re del crimine». Marchesi firmò il nu- mero 3 di Diabolik, dato alle stampe nel marzo del 1963, di cui ricorre quest’anno il sessantesimo anniver- sario. Dallo stesso episodio è stato
tolare delle indagini, ha trasmesso gli atti alla magistratura minorile che dovrà valutare le iniziative a tu- tela del bambino e lo stesso hanno fatto i pm Stefania Di Dona e Salva- tore Prisco, che coordinano l’inda- gine dove è emerso un altro episo- dio. Siamo a Bagnoli, periferia occi- dentale di Napoli, settembre 2022. Nel quartiere il clima è diventato pesante. Il clan camorristico guida-
j Barista
A sinistra, Angelo “Gino” Polenghi, morto a 83 anni. Il suo volto fu preso a modello dal disegnatore che realizzò
le prime storie
di Diabolik
tratto il film diretto dai Manetti Bros. Poi realizzò altri 6 numeri. “L’arresto di Diabolik”, come s’inti- tola il tascabile numero 3 e il primo disegnato da Marchesi, segnò una svolta nelle vendite. Sarà un caso ma vi compare per la prima volta an- che Eva Kant, che all’illustratore lo- digiano deve l’acconciatura della sua immagine icona. Lo chignon fu ideato infatti da Marchesi osservan- do la moglie. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
vita in carcere».
- Categoria: Uncategorised
Un ricordo toccante di Graziano Fiore a 80 anni dalla strage di via Niccolò dell'Arca (28 luglio 1943) in cui persero la vita 20 antifascisti tra cui il figlio di Tommaso Fiore e 38 furono i feriti. La commemorazione è apparsa su “Il Nuovo Risorgimento” anno I n.9-10 del 1944 a firma di Raffaele Nuovo.
Graziano Fiore a Bari in via Vittorio veneto (attuale via Sparano) 1942 - tratta dal libro di Paolo Comentale "La bellezza e il coraggio", edizioni di pagina.
Signore o signori, non è una apologia che voglio fare; se la facessi mi sembrerebbe di contaminare la memoria del nostro più intimo amico, che era nemico della retorica. Voglio solo parlarvi del nostro Graziano, per spiegarvi la ragione per cui gli abbiamo intitolato l'associazione. Vi dirò solo quale l'ho conosciuto in due anni di convivenza.
- Categoria: Uncategorised
Una lunga storia complessa
La vergogna è un fantasma e un sentimento necessario

Troppi fantasmi si aggirano per l'Europa in questo primo quarto di secolo, e tra questi vi è senza dubbio quello della vergogna. Tuttavia ogni fantasma è un'idra, come ci insegna HP Lovecraft, e non ha mai una, ma cento, mille facce. Se riflettessimo anche solo superficialmente sulla nostra condizione, per esempio, scopriremmo che sono molte le cause del nostro quotidiano vergognarci. Proviamo vergogna per il nostro aspetto fisico, perché non è conforme ai modelli estetici che ci assediano; proviamo vergogna per la nostra condizione sociale, perché manchiamo di successo, di pubblica visibilità; infine proviamo vergogna perché vediamo costantemente diminuire la nostra umanità, ed è forse questa la declinazione più dolorosa. Trascorriamo buona parte del tempo della nostra esistenza a nascondere o a negare questa ferita.
La vergogna per noi individui del XXI secolo è dunque un fantasma sistemico. Abbiamo avuto appena il tempo di ritrovarci ridotti da una pandemia globale (il fantasma della peste), e subito siamo diventati spettatori di una letale crisi economica (il fantasma della carestia). E questo è solo il retropalco, perché sul proscenio c'è il fantasma di una guerra il cui scandalo ci ha rigettato nello sconforto di quello che siamo: esistenze precarie. e subito siamo diventati spettatori di una letale crisi economica (il fantasma della carestia). E questo è solo il retropalco, perché sul proscenio c'è il fantasma di una guerra il cui scandalo ci ha rigettato nello sconforto di quello che siamo: esistenze precarie.