milani

di Furio Colombo

LA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE: “NON C'È PIÙ NESSUNA PROIBIZIONE DA PARTE DELLA CHIESA PER LE SUE OPERE”

Se ne scrivessi in un racconto o in un dramma, invece che in un articolo di commento – ora che la Congregazione per la dottrina della fede annuncia che per la ristampa di Esperienze pastorali di don Lorenzo Milani “non c’è più nessuna proibizione da parte della Chiesa e torna a diventare un patrimonio del cattolicesimo italiano”– sceneggerei così: è don Milani che va a trovare Papa Francesco per raccontargli della scuola di Barbiana, per portargli il libro Esperienze pastorali (quello da cui tutto è cominciato, e prima di tutto la proibizione della Chiesa per il libro e l’esilio del prete-autore) e per mettergli sul tavolo Lettera a una professoressa.  In quella scuola e in quel libro c'è tutta l'Italia che non c’è stata, ci sono gli eventi che non sono accaduti, le negazioni che si sono accatastate come i pezzi di una costruzione malevola. Sul momento lo sapevano in pochi, quasi solo Lorenzo Milani e i suoi bambini della scuola sperduta nel Mugello, e i
pochi che lo sostenevano e lo andavano a trovare.
Tutto comincia dal rapporto con i poveri e i deboli, e tutto si sfalda, si rompe,si corrompe nella corsa in avantiverso modelli sempre più arrischiati di violenza e ricchezza. Strana e degna di una grande scena teatrale, la capacità della Chiesa ricca e padronaledi capire subito. Si trova davanti un prete troppo giovane e troppo inesperto per fare danno. E capisce subito che farà danno, un danno grandissimo: svelare la finzione della fede,quando coincide con la forza, il potere e il danaro, raccontare come avviene l’abbandono dei poveri, far capire in che modo, se svilisci una parte degli esseri umani, corrompi tutto. E il prete viene mandato lontano, in montagna, nel villaggio di Barbiana che, senza Lorenzo Milani, non sarebbe mai neppure esistito.
Quello che si vedrebbe, nella mia idea di sceneggiare l’incontro fra Lorenzo e Francesco, è che i due si conoscono già, in profondo, e che sorridono l’uno all’altro della finzione con cui ci viene dato l’annuncio. Un cardinale è felice di poter parlare apertamente di don Milani perché un altro cardinale, preceduto da dotti articoli, ha fatto sapere che mai la Chiesa ha espresso dubbi su quella cara persona di Barbiana, sul suo modo di vivere l’esperienza pastorale, a partire dalla lotta per sopravvivere e dalla passione di non restare al buio, della voglia di sapere, di tante persone che i censimenti e le ricerche sociali catalogano di volta in volta fra “illetterati” o “poveri” o “addetti a lavori di fatica”. Entrambi sanno, in modo diverso e da mondi diversi, che Lettera a una professoressa è la riforma della scuola che si è sempre invocata e mai fatta (o fatta in modi banali, sbagliati, ridicoli) per il rifiuto tenace (diventato con gli anni sempre più forte a sinistra) di cadere nella trappola del prestare attenzione prima di tutto ai deboli e ai poveri, e alla scuola pubblica come dovere di Stato, e anzi come principale definizione del rapporto fra Stato e cittadini.
DAI DUE MONDI, Lorenzo Milani e Papa Francesco portano un’esperienza cara e comune: quando loro dicono “i nostri ragazzi” e affermano che “sono il simbolo della nostra patria”, intendono gli scolari, non i soldati (anche se rispettano i soldati al punto che non li vogliono far combattere mai), e certo Lorenzo Milani, dall’interno di una Chiesa che lo teneva al bando e lo proibiva, ha portato al nuovo papa il seme vivo e intatto di quella pianta del collettivo di bambini di Barbiana, che non ha potuto fiorire ma che nessuno ha potuto uccidere. È come se, nel momento dell’incontro fra il Papa diverso e il prete ribelle, arrivasse fino a loro la
lunga fila (esile ma resistentissima) di coloro che si sono tramandati nei decenni la Lettera a una professoressa come il testo italiano di una teologia nonviolenta della Liberazione che può ancora essere una mappa di lavoro e una carta di orientamento. In una coreografia immaginaria, coloro che portano in dono a tutti gli italiani questa lettera-manifesto prendono posto accanto a coloro che si sono sempre opposti alla corruzione, che hanno vissuto del proprio lavoro, che hanno
voltato le spalle a mafia, camorra e ’ndrangheta a costo di morire, che hanno disobbedito alla Chiesa per non abbandonare gli ultimi non soltanto perché poveri, perché privi di ogni tutela e persino di casa, di rispetto sindacale, di rispetto in carcere, di diritti civili e umani, di accoglienza quando scampano al mare, del diritto di essere italiani quando nascono in Italia, del diritto di non essere uccisi e di non uccidere. È una grande massa di popolo che non ha partito, quella che viene da Barbiana. È quella che arriva dove chiese e governi si sono occupati soltanto del potere, che chiamano “la politica”. Ora che i cardinali hanno fatto finta di non avere mai proibito, e anzi ci stannodicendo che persona gradevole era quel don Milani, un po’ ebreo e un po’ cristiano, ma credente al punto di non
cedere e di lasciarsi confinare ai margini del mondo, ma senza tacere (anzi,organizzando il suo coro di bambini che imparano a non lasciarsi tenere al loro posto), ora lasciamoli insieme, il prete e il Papa. Potrebbero accadere cose più grandi dei telegiornali gridati.