Anche i contadini sanno scrivere

Dalla zappa alla penna

di Tommaso Fiore

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Rocco Scotellaro (Tricarico,19 aprile 1923 - Portici, 15 dicembre 1953) 

Ora che da pochi mesi non è più Rocco, «il più piccolo» poeta d'Italia, come diceva sua madre, leggeremo nel Circolo di Cultura «Francesco De Sanctis», a Cosenza, qualcosa di questi «Contadini del sud», che egli andava approntando per la casa Ed. Laterza, e che vedranno la luce tra giorni. Si tratta di quattro biografie di contadini, o piuttosto di autobiografie, chè l'idea di far parlare lavoratori della terra, non però inventanti frottole o facenti poesie ma dei propri interessi, delle vicende della propria vita, è nuova, cioè sentita e allargata a una specie di esame della società contadina di oggi, sotto la guida, si intende di uno spirito di poeta, il cui occhio vede al di là delle forme esteriori e ordina e illumina e crea in maniera imprevedibile.

D'altra parte vivono nella realtà dei nostri ambienti lavoratori, specie nati insieme col secolo, che per la loro esperienza e per la loro acutezza ne sanno più ormai di un tecnico o di un uomo di legge; e ormai le loro carte corrono rischio di andare perdute.

Delle quattro biografie qui espost, la prima è dei «figlio del tricolore ma pieno di dolori burocratici avventuriero grande invalido». Michele Muieri, un tipo singolare di anarchico e adoratore dell'autorità, che raggiunge una viva efficacia là dove parla del proprio casellario giudiziario. Invece del democristiano Andrea Di Grazia, contadino positivo e tranquillo, varrà la pena di reggere più di una pagina: l'o.dg da lui presentato nel 1935 a Roma al Congresso dei coltivatori diretti, nonché il suo pensiero sulla riforma agraria di oggi, dove sarà bene cogliere direttamente alcune aspirazioni comuni a tutta la gente contadina; e da ultimo il suo «credo e non credo» cioè ii suo atteggiamento dinanzi a fenomeni di superstizione religiosa. Delle altre due vite, più notevole cioè, più interessante è quella del «contadino che si sposa per la terza volta», tale  Antonio Laurenzana; dopo la morte della moglie, non si può tralasciare il mercato nero, per arrivare finalmente al socialismo a Tricarico, dove si colgono note di più alto interesse sociale. Meno interesse proviamo per le vicende di un uomo retto, un evangelista di Altamura a nome Francesco Chironna, tranne per il suo contrastato matrimonio e per le sue idee sui rapporti fra il cittadino e lo Stato, identificato con «i signori della burocrazia» che «fanno progresso di lucro di giorno in giorno, o si vinca o si perde».

Naturalmente ben più importanza hanno per noi le pagine di Rocco, che egli premette alle due prime biografie, nelle quali è evidente come il giovine sia stato allevato dallo spirito contadino alla poesia e poi alla sua volta, con spirito di socialista e di poeti, abbia slargato l'anima di quanti lo avvicinavano, della famiglia contadina. La nota specialmente su «la zona grigia del risveglio contadino» in Lucania, sulla prima reazione disorganizzata al fascismo, sull'opera dei reduci e sulla situazione determinatasi dove «tutto è assurdo», dice Rossi - Doria da lui citato, e dove l'Ente Riforma si chiama «la riforma lenta», è tra le più acute del libro, modello di sociologia socialista.

Per capire queste prose, bisogna che teniamo presente ciò che si sa sulla «civiltà contadina», cioè quello che ne dice lo stesso Scotellaro, citato nella prefazione di Rossi-Doria: «I contadini dell'Italia meridionale mantengono ancora oggi il gruppo sociale più omogeneo e antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali. per la concezione generale del mondo e della vita». Così si è venuto a poco a poco delineando: il libro che andiamo sfogliando dovrà avere, anzitutto, «una introduzione che comprenda la presentazione del problema». «I contadini meridionali nella cultura italiana» alla luce della letteratura meridionalistica... Racconti autobiografici di uomini e di donne, che esprimano, seguendo i gradi della stratificazione culturale la più avanzata coscienza dei problemi moderni». Possiamo accettare senz'altro l'osservazione del prefatore che «a distanza di mesi il libro ha preso, invece, nella sua mente, l'ordine poetico delle cose vive e va ordinandosi in una serie di saggi nei quali variamente si intrecciano il racconto autobiografico – che ha conquistato più largo posto - l'intervista e il commento interpretativo e nei quali, come in tanti specchi si riflettono le varie realtà del Mezzogiorno contadino e dei suoi rinnovati movimenti». Resta il problema dall' espressione fondamentale dialettale, in ispecíe nei «racconti sconosciuti» che seguono e che non si può modificare «perché quella lingua - come aveva allora scritto - è la misura di tutto, il paesaggio, degli uomini e delle cose di quella regione. Si entra in una zona incerta e bisogna augurarsi che il Rossi-Doria abbia avuto la mano leggera.

Ma che cosa sono questi racconti? (Seguono l'intervista con un ragazzo aiuto bufalaro, con l'acuta nota dello studioso sulla grande ricchezza degli industriali della terra, fra la miseria de' loro lavoratori. Anzitutto, una breve nota sulla madre, la valente vedova Scotellaro Francesca Armento, che ha dato, più di tutti, il suo fiato al figlio straordinario. Poi la famosa lettera di lei al figlio; sulle sventure di una sua comare, appariva già Su «Nuovi Argomenti». Questo è il testo pertinente di questa civiltà contadina, non spropositato adattamento di un contadino in soggezione alla lingua italiana, ma espressione diretta di un'anima con fine sensibilità.Il testo è da studiare a fondo come stile e come arte.

Minore importanza hanno le osservazioni della contadina sull'amore, che è argomento terribile per tutti, e sulla vivace commedia del vicinato. Anche ciò che la donna scrive su «Il giorno dei morti» non prende che un fatto secondario, l'imbroglio delle messe.

Le ultime pagine «dalla nascita alla morte di R.S.» sono destinate a produrre in una sala un'immensa commozione. È la madre che canta l'inno al figlio straordinario, l'epicedio per la morte della sua creatura. A questo dolore bisognerà che ci avvezziamo anche noi, che ancora non sappiamo rassegnarci. Ma si sa che anche dalle pagine disadorne della povera vecchia contadina abbiamo da apprendere qualche cosa di nuovo sull'arte e i suoi modi di esprimersi.

Paese Sera 08.07.1954