Un saggio di letteratura meridionalista

Le prose di Rocco Scotellaro

di Tommaso Fiore

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Ora che da pochi mesi non è più Rocco, «il più piccolo» poeta d'Italia, come diceva sua madre, leggeremo nel Circolo di Cultura «Francesco De Sanctis» a Cosenza, qualcosa di questi «Contadini del Sud», che egli andava approntando per la Casa Editrice Laterza, e che vedranno la luce fra giorni. Si tratta di quattro biografie di contadini, o piuttosto di autobiografie, chè l'idea di far parlare lavoratori della terra (non però inventanti frottole o facenti poesie), ma dei propri interessi, delle vicende della propria, vita, è nuova, cioè sentita in modo non meccanico ma vivo, da poeta. E andrebbe sostenuta e allargata a una specie di esame della società contadina di oggi, sotto la guida, s'intende, di uno spirito di poeta, il cui occhio vede al di là delle forme esteriori e ordina e illumina e crea in maniera imprevedibile.

Delle quattro biografie qui esposte, la prima è del «figlio del tricolore ma pieno di dolori burocratici avventuriero grande invalido» Michele Mulieri, un tipo singolare di anarchico e adoratore della autorità, che raggiunge una viva efficacia là dove parla del proprio casellario giudiziario. Invece del democristiano Andrea Di Grazia, contadino povero e tranquillo, varrà la pena di leggere più di una pagina: l'o.dg da lui presentato nel 1938 a Roma al Congresso dei coltivatori diretti nonché il suo pensiero sulla riforma agraria di oggi, dove sarà bene cogliere direttamente alcune aspirazioni comuni a tutta la gente contadina; da ultimo il suo «credo e non credo» e cioè il suo atteggiamento dinanzi a fenomeni di superstizione religiosa.

Delle altre due vite, più notevole, cioè più interessante, è quella del «contadino che sposa per la terza volta», racconto Antonio Laurenzana; che, dopo la morte della moglie, non tralascia il mercato nero ma poi arriva finalmente al socialismo a Tricarico, qui si colgono note di più alto interesse sociale. Meno interesse proviamo per le vicende di un uomo retto, un evangelista di Altamura a nome Francesco Chironna, tranne per il suo contrastato matrimonio per le sue Idee sui rapporti fra il cittadino lo Stato, identificato con «i signori della burocrazia» che «fanno progresso di lucro di giorno in giorno, si vinca o si perda».

Naturalmente, ben più importanza hanno per noi le pagine di Rocco, premesse alle due prime biografie, nelle quali è evidente come il giovine sia stato allevato dallo spirito contadino alla poesia e poi, alla sua volta, con spirito di socialista e di poeta, abbia slargato l'anima di quanti lo avvicinavano, della famiglia contadina.

La nota specialmente su «la zona grigia del risveglio contadino» in Lucania, sulla prima reazione disorganizzata al fascismo, sull'opera dei reduci e sulla situazione determinatasi dove «tutto è assurdo», dice Rossi-Doria da lui citato, e dove l'Ente Riforma si chiama «la riforma lenta», è fra le più acute del libro, modello di sociologia socialista.

Per capire queste prose bisogna che teniamo presente ciò che si sa sulla «civiltà contadina», cioè quello che ne dice lo stesso Scotellaro, citato nella prefazione di Rossi-Doria: «I contadini dell'Italia meridionale gestiscono ancora oggi il gruppo sociale più omogeneo antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali, per la concezione generale del mondo e della vita». Così si è venuto a poco a poco delineando il libro che andiamo sfogliando: il quale avrebbe dovuto avere, anzitutto, «una introduzione che comprenda la presentazione del problema»: «I contadini meridionali nella cultura italiana "alla luce della letteratura meridionalistica. Racconti autobiografici di uomini e di donne, che esprimano, seguendo gradi della stratificazione culturale, la più avanzata coscienza problemi moderni”».

Possiamo accettare senz'altro l'osservazione del prefatore che «a distanza di mesi il libro ha preso, invece, nella sua mente, l'ordine poetico delle cose vive e va ordinandosi in una serie di saggi nei quali variamente s'intreccino il racconto autobiografico che ha conquistato più largo posto - l'intervista e il commento interpretativo e nei quali, come tanti specchi, si riflettono le varie realtà del Mezzogiorno contadino dei suoi movimenti rinnovati».

Resta il problema dell'espressione fondamentalmente dialettale ispecie nei «racconti sconosciuti» che seguono, e che non si può modificare perché quella lingua come aveva allora scritto la misura di tutto Il paesaggio, degli uomini e delle cose di quella regione» Si entra in una zona incerta, bisogna augurarsi che il Rossi-Doria abbia avuto la mano leggera.

Ma che cosa sono questi racconti? (Seguono l'intervista con un ragazzo aiuto-bufalaro con l'acuta nota dello studioso sulla grande ricchezza degli industriali della terra, fra la miseria dei loro lavoratori). Anzitutto una breve nota sulla madre, la valente vedova Scotellaro, Francesca Armento, che ha dato, più di tutti, il suo fiato al figlio straordinario. Poi la famosa lettera di lei al figlio, sulle sventure di una sua comare, apparve già su «Nuovi Argomenti». Questo è il testo pertinente di questa civiltà contadina, non spropositato adatto di un contadino in suggestione alla lingua italiana, ma diretta espressione di un'anima con fine sensibilità. Il testo è da studiare a fondo come stile e come arte.

Minore importanza hanno le osservazioni della contadina sull'amore, che è argomento terribile per tutti, e sulla vivace commedia del vicinato. Anche ciò che la donna scrive su «il giorno del morti» non prende che un fatto secondario, l'imbroglio delle messe.

Le ultime pagine «dalla nascita alla morte di Rocco Scotellaro» son destinate a produrre una immensa commozione, E' la madre che canta l'inno al figlio straordinario, l'epicedio per la morte immeritata della sua creatura. A questo dolore bisognerà che ci avvezziamo anche noi, che ancora non sappiamo rassegnarci. Ma si sa che anche dalle pagine disadorne della povera vecchia contadina abbiamo da apprendere qualche cosa di nuovo sull'arte ei suoi modi di esprimersi.

L'Unità, venerdì 9 luglio 1954