La poesia
di Scotellaro

di Tommaso Fiore

scotellaro

Mi son recato giorni fa lungo il Bradano, son rimasto sette ore bloccato in una stazioncina e interrogavo la povera gente, contadini, bottegai, maestri: in tal modo ho capito qualche cosa della poesia del giovinetto morto a trent'anni. (E’ fatto giorno », Mondadori, 1954). L'impressione che fanno molti versi è di fresco idillio, a cui il poeta si compiace di mescolareSe stesso, la sua fanciullezza abbandonata. Ma subito la dura materia dell'ambiente sorge a contrasto doloroso. «L'agosto di Grassano» è dipinto in lontananza con ricchezza di dolci colori raffinati, ma a se stesso il poeta unisce i poveri compaesani:

Grassano, qui da Santa Lucia
Io ti abbraccerei…
L’amore che tu dici
lo sa l'uomo che ti passa intorno
solo sulle argille
nel cuore del mezzogiorno.

Fino a quando la penetrazione del mondo contadino è cosi perfetta che il poeta vi sparisce dentrocome in questo prodigioso «Ottobre», dove l'apprensione delle assenze e del mal tempo nelle cose:

L'Estate si trascina
i cardi inariditi
e la mosca pusillanime,
le strade sparse di paglia,
il vuoto alle finestre,
il prezzemolo verde, ancora
e il garofano nei vasi:
era che Ottobre s'impone
Ottobre è là: quella nuvola nera
attesa alla collina
Piegata dai tocchi della sera.

Ma è impossibile definire il trapasso del sentimenti di Scotellaro, rivolto sempre al variare delle stagioni. Non ha ragione di soffrire il poeta, quando giunge «Settembre amico delle mie contrade»: eppure grida d'improvviso:

Tu non ci fai dormire
cuculo disperato,
col tuo richiamo.

E sarebbe il grido di un giovane romantico, se subito non trapassasse all'alacre vita della trebbia, al colore del fiumi e alla violenza del vento. In tal modo rende spesso sensazioni
intraducibili di stagione, nella nostra campagna, nel paese dei fichi seccati e dei mucchi di mandorle. E poiché, come è amara la stagione, così è amara la vita, il suo naturale idillismo si fa dramma. Così in «Casa» ne «La ginestra», ne «L'arancio», ne «La felicità», ne «La trebbiatura›, in «Notte di campagna», ne «La serenata al paese», in «Tu non ci sei», anche ne la «la regola», fra le quali è difficile scegliere la più bella.
Ma la poesia di Scotellaro non è tutta qui. La superiorità di lui sugli altri poeti della sua età consiste in questo: che egli si sente espressione del mondo contadino, di ciò che egli chiama «la civiltà contadina», di quei contadini cioè, sono le sue parole, che «formano ancora oggi il gruppo sociale più antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali, per la generale concezione del mondo e della vita. Uscito dalla fanciullezza, si sente bracciante, ridotto in schiavitù, pronto alla ribellione, e insieme poeta del socialismo.

Noi che facciamo? All’alba stiamo zitti
nelle piazze per essere comprati…
Noi siamo figli dei padri ridotti in catene…
Sentireste la nostra dura parte
In quel giorno che fossimo agguerriti…
Noi pur cantiamo la canzone della vostra redenzione

Il giovane lucano è cosi immerso nelle forme di vita contadina che persino in «Una dichiarazione amore a una straniera» non sa che suggerirle di farsi contadina con lui e di amarlo da contadina

Vuol sollevare per favore il sacco,
accendere il cerogeno,
minuscolo sul lare,
vuoi quieta lasciarti prendere, amare?

La sua poesia dunque profonda le sue radici nella vita morale, nella fratellanza con tutti gli sventurati. Perciò i versi al padre e alla madre sono aspramente originali. La povera donna lo ha cacciato via, ragazzo, nella strada, perchè deve affrettarsi a lavorare; il ragazzo disamorato sente d’improvviso la grandezza di sua madre: indovinate quando? Quando costei ha la forza diperdonare un grave trascorso del padre:

Una volta per sempre io t’ho benvoluta
quando venne l'altro figlio di papà:
nacque da un amore in fuga,
fu venduto a due sposi sterili
che facevano i contadini
in un paese vicino.
Allora alzasti per noi lo stesso letto
E ci chiamavi Rocco tutt’e due.

Più difficili i rapporti col padre, anarcoide e violento, una specie di Michele Mulieri, sapete, quello del bivio di Grassano. Ma al padre egli è legato dal comune destino, la persecuzione della sorte e della vita: e questa è «La benedizione del padre»:

Attento, dicesti, figlio mio
in questo mondo maledetto.
Mi hanno messo le manette già una volta,
sto bussando alle locande per un letto
ed arrivo così da lontano,
che tu pare non sia mai esistito.

Nella somiglianza col padre, col destino del padre, egli insiste, salvo che

ho poi imparato , in più di te,
che i fatti maturano da soli
e so che saranno disgrazie
inevitabili, come la tua morte...

Ma era una illusione: nulla di anarcoide ha il figlio poeta, anzi canta le vicende della congiuntura storica presente, gli scioperi, il compagno ammazzato, le fami, le proteste delle donne, la disperazione per il 18 aprile, che ricaccia indietro gli schiavi del lavoro. E ha perduto ogni illusione sulla bella America. E ha l'occhio rivolto aI sole dell'avvenire, semplicemente:

…nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova.

Sono questi i motivi della poesia di Scotellaro, la più schietta, la più profonda, la più ricca di echi
fra quante udiamo oggidì nel cieli della poesia in Italia.

Avanti, Mercoledì 10 novembre 1954