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a cura di Giuseppe Dambrosio

Tommaso Fiore (Altamura 7 marzo 1884 – Bari 4 giugno 1973) fu una figura originalissima di intellettuale meridionale  che seppe unire la preparazione solida letteraria all’impegno sociale e politico a fianco  della povera gente del sud Italia, soprattutto della popolazione rurale. Fedele alle sue origini, “il figlio del muratore e della tessitrice deve portare  in ogni cosa, sin dall’infanzia, uno spirito critico di opposizione”.

Tommaso Fiore frequentò ad Altamura la scuola elementare e il ginnasio inferiore. Nell’ottobre del 1898, per una Borsa di studio della diocesi di Altamura, proseguì gli studi presso il seminario di Conversano concludendo a Bari il liceo, frequentò, poi per due anni l’Istituto teologico di Anagni.  Nell’anno accademico 1903-1904, Fiore vinse una borsa di studio alla Normale di Pisa e si iscrisse alla facoltà di Filosofia e Lettere dove fu allievo di Giovanni Pascoli col quale poté costruirsi solide basi come classicista. Si laureò il 20 dicembre 1907 con una tesi di laurea su Platone.

Ritornato in Puglia nel 1908, Fiore incominciò ad insegnare a Gallipoli nel 1912 e nel 1913 ad Altamura. Nella sua città incomincia il suo impegno politico antigiolittiano ispirato dalle posizioni di Gaetano Salvemini fino al suo sostegno interventista nella prima guerra mondiale. Di quella esperienza, vissuta come soldato semplice, prigioniero dopo Caporetto e internato nel campo di concentramento di Schwarmstadt fino al 1919, Fiore lasciò una significativa testimonianza, riflettendo in modo originale e dissacrante sulla guerra, in Uccidi.

Ritornato dalla prigionia in Germania il 06.01.1919, l’ufficiale di complemento Tommaso Fiore si impegna nella vita politica altamurana. Fonda nel 1919, insieme al capitano Francesco Lo Iacono, ispettore scolastico, la locale sezione dei Combattenti. In seguito Fiore diventerà presidente e leader indiscusso del movimento nella sua città e nella provincia di Bari. Tommaso Fiore, capo carismatico del movimento dei combattenti, nella sua espressione democratica, trasformò e incanalò il malcontento dei reduci (braccianti, contadini e piccoli proprietari) divenendo punto di riferimento per le classi sociali più povere.La sezione Combattenti di Altamura avvierà nel biennio’19 -’20 una stagione di rivendicazioni tesa al rinnovamento economico e sociale. La base più consistente del movimento rimarrà quella dei contadini, pur comprendendo nelle sue fila anche molti intellettuali.

Nel  1920, con il sostegno degli ex combattenti  e con quello di Salvemini (punto di riferimento costante), divenne sindaco di Altamura e consigliere provinciale, dando vita ad una interessantissima esperienza di governo: attuò una intensa esperienza amministrativa nella quale promosse la partecipazione attiva dei cittadini nella gestione della cosa pubblica. Un impegno politico nel quale Fiore utilizzò anche una parte delle proprie risorse economiche e che si interruppe prima che il fascismo prendesse il potere.

In questo periodo incominciò la proficua collaborazione con la rivista di Gobetti Rivoluzione Liberale. Fiore, in molti articoli, condusse la battaglia contro il fascismo coniugandola con la scelta meridionalista e il suo  essere dalla parte dei contadini. Con l’uccisione di Matteotti, Fiore (nel frattempo trasferitosi ad insegnare a Bari nel 1928 e al liceo classico di Molfetta nel 1932) intensificò la sua azione. Un’attività condotta, nonostante le precarie condizioni finanziarie condizionate oltre misura dalla sospensione dall’insegnamento in seguito all’inchiesta condotta contro di lui dal ministro delle pubblica istruzione Giovanni Gentile nel novembre 1923.

Fiore si avvicinò al partito socialista unitario e la persecuzione del regime fascista nei suoi confronti si intensificò. In questo periodo si allarga la collaborazione ad altre riviste e giornali di orientamento democratico-repubblicano (Humanitas di Piero Delfino Pesce, Critica Politica di Oliviero Zuccarini, Il Mondo di Giovanni Amendola, Volontà di Vincenzo Torraca, Conscientia di Giuseppe Gangale, Vita delle Nazioni di Umberto  Zanotti Bianco, Il Lavoro di Genova, Corriere della Sera di Luigi Albertini, Corriere dell’Irpinia di Guido Dorso, Il Caffè, Quarto Stato di Carlo Rosselli) e si interrompe il suo impegno con Rivoluzione Liberale di Gobetti, costretta  alla chiusura dopo molti sequestri consumati dal regime. Il professore di Altamura, per debito nei confronti del suo amico Gobetti, si schiererà senza tentennamenti, profondendo un impegno morale contro il fascismo che si protrarrà per tutta la vita. In seguito, Su Quarto Stato di Carlo Rosselli, Tommaso Fiore mette a punto un suo fondamentale contributo “Appunti per un programma socialista per il Mezzogiorno” con cui proponeva, all’interno del partito socialista, le sue tesi sulla questione meridionale. Da allora Fiore, per il clima antidemocratico instaurato dal fascismo, non poté più fare politica alla luce del sole e praticò un antifascismo teso a suscitare il protagonismo dei giovani. Si dedicò ad una intensa attività editoriale con traduzioni di opere di autori di grande spessore (Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro, Bertrand Russel,  Baruch Spinoza). Nel 1930 pubblicò La poesia di Virgilio solo apparentemente lontana dalla lotta politica. Il lavoro politico proseguì nella clandestinità. Fiore venne tenuto d’occhio dall’OVRA che lo definiva come elemento sovversivo particolarmente pericoloso.

Nel 1942 Fiore e due suoi figli furono condannati al confino prima a Ventotene e poi a Quadri in provincia di Chieti. Di ritorno dal confino, ripresa l’attività “sovversiva”, Fiore venne arrestato nell’aprile del ’43 insieme e ad altri antifascisti e detenuto nel carcere di Bari fino al 28 luglio 1943, giorno in cui le forze dell’ordine uccisero il figlio Graziano e altri 19 giovani che avevano partecipato alla manifestazione per la liberazione dei prigionieri.

Nel gennaio 1944, al I Congresso dei CLN del Meridione, Fiore esternò la sua preoccupazione relativa  all’esperienza  della monarchia e di Badoglio che, a suo dire, stavano proseguendo l’esperienza fascista. Il suo intervento, in quell’occasione, rimane un documento fondamentale della storia della Liberazione.

Nel 1945, Fiore pubblicò Il Catechismo Liberal-socialista del partito d’Azione nel quale disegnava, con perizia e lungimiranza, i principi e gli istituti che saranno alla base della nuova Costituzione della Repubblica italiana del 1948.

Dopo la guerra, con la crisi del partito d’Azione, Fiore entrò nel Partito Socialista Italiano. Con questa scelta Fiore si allontanò definitivamente da Croce, maestro e punto di riferimento del gruppo antifascista barese di cui facevano parte Fabrizio Canfora ed Ernesto De Martino che si riunivano presso la villa del “cancello rotto” degli editori Laterza. Si confrontavano due orientamenti quello liberale di Croce e quello liberalsocialista di Fiore e il suo gruppo, concezioni antitetiche non più conciliabili.

Nel dopoguerra, Fiore fu commissario della biblioteca consorziale di Bari (1944-1948) e provveditore agli studi, incaricato dall’allora Ministro Adolfo Omodeo, ruolo considerato, dalle forze moderate del governo e del Ministero della Pubblica Istruzione,  troppo innovativo a tal punto che fu dimissionato nel maggio del 1947 in seguito al riordino dei provveditorati. Nello stesso periodo fu affidata a Fiore la cattedra di letteratura latina presso l’Università degli studi di Bari. Nel 1954, ormai settantenne, Fiore si dedicò allo studio dei problemi di politica internazionale al tempo della guerra fredda, continuando il lavoro politico per il riscatto del Mezzogiorno. Partecipa a convegni  e dibattiti e soprattutto collabora a riviste e quotidiani con numerosi articoli dimostrando una vitalità e un impegno non comuni. Curò molto il rapporto con i giovani e nel 1970, quasi novantenne, diresse la rivista Il Risveglio del Mezzogiorno, alla quale collaboravano molti giovani intellettuali che lo riconoscevano come maestro indiscusso. Una rivista impegnata a ridare visibilità, con il metodo dell’inchiesta, alla storia delle comunità e degli intellettuali meridionali.

L’esperienza umana e politica di Fiore rimane a tutt’oggi molto trascurata dalla cultura italiana. Ad oltre trent’anni dalla morte, non gli è stata restituita  la degna collocazione che merita nella storia della cultura e della politica italiana. Una omissione di cui è responsabile anche  la sinistra e il sindacato che in Italia hanno preteso l’esclusiva rappresentanza del patrimonio di lotte delle classi subalterne, escludendolo da ogni carica elettiva e da qualsiasi altro incarico.Tale atteggiamento relegò il meridionalista altamurano in una condizione di ristrettezza economica tipica dell’intellettuale disorganico e libero. Egli descrive bene la sua condizione in una lettera del 1958 all’editore Einaudi: ”...io sono tagliato fuori dalla vita di provincia, come uomo pericoloso, anzi, per la mia città natale, pericolo n.1. Questo comporta che non ho lavoro”.